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26 aprile 2020

Continuo le mie recensioni musicali facendo un balzo temporale. Se nello scorso numero ho parlato di un album contemporaneo, oggi vi parlerò di un lavoro che risale al 1973: Arbeit Macht Frei, della band italiana Area- POPular group. Gli Area fanno sempre parte della scena progressive, ma stavolta italiana, e non estera. L’album si distacca profondamente dalla tradizione rock, ma anche dalla stessa scena progressive italiana dell’epoca, che era caratterizzata da una forte componente melodica e facilmente accessibile: difatti Arbeit Macht Frei si caratterizza per il suo sperimentalismo, in quanto coniuga perfettamente generi come il pop, il rock progressivo, l’elettronica, la musica d’avanguardia, il jazz e la musica orientale. Non solo abbiamo questa ardita contaminazione, ma anche un potente impegno politico e sociale, unito a un desiderio di scostarsi completamente dai canoni convenzionali della canzone. I lavori all’interno dell’album sembrano scene di vita quotidiana, lamenti del piccolo popolo, solenni divinazioni, o vie del mercato in cui si affolla la più disparata gente.

  • ALBUM: Arbeit Macht Frei
  • ARTISTA: Area
  • ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1973
  • GENERE: pop, prog rock, elettronica, avant-garde, jazz, free jazz, etnica, rumoristica.

Questo album è prezioso, ed estremamente lavorato. Lo si capisce dai testi profetici. Lo si capisce dal titolo, oscuro, e dalla copertina del disco. Lo si capisce dalla musica, elaborata e sognante, e dalla voce di Demetrio Stratos, vero e proprio strumento.

Arbeit Macht Frei è il primo album degli Area – POPular group, ed oggettivamente il migliore della loro breve carriera. Tutti i componenti del gruppo, di svariate nazionalità, portano con sé un differente e vario bagaglio di esperienze, ricco di studi esteri ed inusuali, come quelli del batterista Giulio Capiozzo, che era imbevuto di jazz fino al collo, e quelli del cantante e polistrumentista Demetrio Stratos. E proprio quest’ultimo è forse l’elemento più iconico del gruppo, con la sua assurda tecnica vocale: difatti era capace di emettere diplofonie ed addirittura quadrifonie. Le diplofonie sono alterazioni del timbro di voce che, all’ascolto, sembra duplicata, e sono state introdotte nella musica progressiva proprio da Stratos.

Nella prima traccia dell’album, “Luglio, Agosto, Settembre (Nero)”, è una preghiera araba ad aprire le danze, che vengono condotte da melodie prog rock ed un miscuglio intricato – caratteristico degli Area – tra l’arabeggiante e lo zingaresco, in un astruso tempo dispari e con una chitarra predominante, che sostiene il sax e gli altri fiati. A questa melodia parecchio orecchiabile si aggiunge la voce possente di Stratos, che declama versi profetici di stampo prettamente politico.

“Arbeit macht frei”, la title track, inizia invece con un lungo ed oscuro assolo di batteria, per poi sfociare in un connubio di elettronica, clarinetto basso e voce. Inizia poi un assolo chitarristico.

“Consapevolezza”, la terza traccia, riprende e sviluppa maggiormente le fusioni tra prog rock e jazz rock, sempre rimanendo in bilico tra l’improvvisazione e la sicura volontà. Le chitarre e il clarinetto in questo pezzo si fanno più retrò, lanciandosi in improvvise fughe jazz. “Le Labbra del Tempo” invece, dà via libera alla voce, che, seguita dolcemente dal sax, si sviluppa in un complesso brano con arditi lanci sia strumentali che vocali. “240 chilometri da Smirne” è l’unico brano strumentale dell’album, e anche qui abbiamo una forte componente d’improvvisazione da free jazz.

Segue “L’abbattimento dello Zeppelin”, il brano più avanguardistico e sperimentale di tutto l’album, che spiazza l’ascoltatore con una forte componente rumoristica.

In generale “Arbeit Macht Frei” è un album epocale, che ha segnato sicuramente l’apice della musica europea del periodo, e rimane anche oggi forse uno tra i dischi più avanguardistici e fondamentali che l’Italia abbia mai conosciuto. Non ha senso descriverlo a parole, bisogna ascoltarlo: lo consiglio a chiunque sia abbastanza coraggioso da affrontare un lavoro così bizzarro!

VOTO FINALE: 90/100

Pietro Locci