una, nessuna o centomila? 

Archivio articoli

07 giugno 2024

(RIFLESSIONI SUL ROMANZO DI LUIGI PIRANDELLO)

“-Ma come morta, se sono qua viva? 

-Ah, lei sí; perché ora non si vede. Ma quando sta davanti allo specchio, nell’attimo che si rimira, lei non è più viva. 

-E perché? 

-Perché bisogna che lei fermi un attimo in sé la vita, per vedersi. Come davanti a una macchina fotografica. Lei s’atteggia. E atteggiarsi è come diventare statua per un momento. La vita si muove di continuo, e non può mai veramente vedere sé stessa. 

-E allora io, viva, non mi sono mai veduta? 

-Mai, come posso vederla io. Ma io vedo un’immagine di lei che è mia soltanto; non è certo la sua. Lei la sua, viva, avrà forse potuto intravederla appena in qualche fotografia istantanea che le avranno fatta. Ma ne avrà certo provato un’ingrata sorpresa. Avrà fors’anche stentato a riconoscersi, lì scomposta, in movimento. 

-È vero. 

-Lei non può conoscersi che atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire. Lei sta tanto a mirarsi in codesto specchio, in tutti gli specchi, perché non vive; non sa, non può o non vuol vivere. Vuole troppo conoscersi, e non vive.  

-Ma nient’affatto! Non riesco anzi a tenermi mai ferma un momento, io. 

-Ma vuole vedersi sempre. In ogni atto della sua vita. È come se avesse davanti, sempre l’immagine di sé, in ogni atto, in ogni mossa. E la sua insofferenza proviene forse da questo. Lei non vuole che il suo sentimento sia cieco. Lo obbliga ad aprir gli occhi e a vedersi in uno specchio che gli mette sempre davanti. E il sentimento, subito come si vede, le si gela. Non si può vivere davanti a uno specchio. Procuri di non vedersi mai. Perché, tanto, non riuscirà mai a conoscersi per come la vedono gli altri. E allora che vale che si conosca solo per sé?” 

Luigi Pirandello 

Chi sono davvero? Mi sono sempre auto-analizzata, ma mai quanto quest’anno. Le vicende che mi sono capitate sono state per me talmente impattanti che mi hanno portata a mettere in dubbio tutta la mia vita. E quindi, chi sono davvero? Sicuramente per me stessa sono un’altra rispetto alla percezione che voi avete di me, eppure abbiamo di fronte lo stesso corpo. Cosa cambia allora? Perché io non posso essere una, anche volendolo, ma sono invece centomila? Sono centomila maschere per le centomila persone che conosco e questo mi genera ansia, tanto da non voler essere nessuno. Ho maturato la consapevolezza di non poter apparire a tutti per come mi appaio io, ma non sono più sicura sul fatto che la mia visione sia il mio vero volto o se anch’essa non sia una maschera. 

“Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto di essere per me, chi ero io?”  Gli altri possono vedermi vivere e conoscermi, mentre io non posso. Eppure, se io sono la persona che vive costantemente con me, come potrei non conoscermi? Io posso solo osservarmi dall’interno, attraverso le mie intenzioni, i miei pensieri più nascosti, i desideri e le paure che tengo nel mio cuore, mentre gli altri mi conoscono soltanto dall’esterno, attraverso le mie azioni visibili, i comportamenti che mostro e le parole che pronuncio. Essi vedono solo ciò che scelgo di rivelare, notano soltanto frammenti di me e li considerano interi, creando maschere che spesso contrastano tra loro. 

Ma così come io sono percepita in modo diverso da ciascuno di voi, allo stesso modo io vi percepisco in modo diverso da quello che siete realmente. Le conversazioni che intratteniamo avvengono, dunque, tra due maschere, ciascuna convinta di comprendere appieno l’altra, “ma il guaio è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite”. Parliamo la stessa lingua, è vero, ma intendiamo con menti diverse; non esiste una mente unica che possa garantire una comprensione perfetta e reciproca. Ogni parola, ogni gesto, viene filtrato attraverso le nostre esperienze, creando un’infinità di interpretazioni che ci frena dal raggiungere una vera unione di pensieri e sentimenti. 

Eppure, inizialmente ci offendiamo se le persone ci dipingono in modo diverso da quello che ci aspetteremmo, poi vi tranquillizzate, ritenete al più al più, con bella e intera sicurezza di voi stessi, che gli altri vi hanno mal compreso, mal giudicato; e basta. Ed è stata questa convinzione che mi ha portato a isolarmi da tutti quanti, poiché non mi sentivo compresa dalle persone che mi circondavano. Ho preferito ritirarmi nel mio mondo interiore, credendo che solo lì avrei trovato una vera comprensione di me stessa. Tuttavia, questa si è rivelata la scelta più sbagliata che abbia mai fatto. Nemmeno io so stare con me stessa, nemmeno io riesco a comprendermi pienamente, e continuo a giudicarmi severamente (mentre avrei dovuto essere l’unica persona in grado di capirmi veramente). Mi sono resa conto che il distacco non ha fatto altro che aumentare il mio senso di smarrimento e incomprensione, privandomi della possibilità di crescere attraverso il confronto e di vedere me stessa sotto nuove prospettive. 

Così mi sono isolata, ho perso amicizie e son rimasta sola, dipingendo come cattivo o falso chiunque non abbia rispettato la mia visione di me stessa. E lo fate anche voi, vero? Ogni volta che qualcuno non vede il mondo come voi lo vedete, lo allontanate o lo criticate. E allora perché fate come se non si sapesse? perché seguitate a credere che la sola realtà sia la vostra, quella di oggi, e vi maravigliate, vi stizzite, gridate che sbaglia il vostro amico, il quale, per quanto faccia, non potrà mai avere in sé, poverino, lo stesso animo vostro?Chi sono i veri amici, dunque? I veri amici sono coloro che, nonostante non comprendano pienamente la vostra anima, la accettano in ogni modo. Sono quelli che accettano il compromesso necessario per comunicare con voi, che identificano la bellezza e la complessità della vostra singolarità e non cercano di cambiarvi o di imporvi la loro visione. Sono quelli che, pur vedendo solo frammenti di voi, non esigono di conoscerli tutti, ma vi amano e rispettano per ciò che riuscite a condividere. I veri amici sono coloro che, anche di fronte all’incapacità di comunicare, restano al vostro fianco, riconoscendo che l’amicizia richiede accettazione reciproca e affetto sincero. 

Ogni persona è una moltitudine di identità, frammentata in numerose maschere che indossiamo inconsapevolmente. Non c’è da spaventarsi per questo, poiché la vita di noi esseri umani è così: tendiamo a mascherare sempre l’altro, a rinchiuderlo nella gabbia del nostro giudizio, appena percepiamo anche una sola caratteristica che ci colpisce. Questo processo è necessario; è il modo in cui la nostra mente cerca di dare un senso al caos delle esperienze e delle persone che incontriamo. Vediamo un comportamento, un’espressione e subito costruiamo un’immagine, una versione semplificata dell’altro che si adatta ai nostri schemi e aspettative. Ogni volta che giudichiamo, riduciamo l’altro a un singolo aspetto della sua complessità infinita e così facendo, perdiamo di vista la vera natura della sua esistenza. 

Viviamo intrappolati in questo processo, creando versioni alterate degli altri, mentre loro fanno lo stesso con noi. È un ciclo continuo di incomprensioni e fraintendimenti, alimentato dalla nostra incapacità di vedere oltre le apparenze. 

L’uomo per natura desidera prevalere sull’altro e diffondere la propria dottrina. Ciascuno vuole imporre agli altri quel mondo che ha dentro, come se fosse fuori, e che tutti debbano vederlo a suo modo, e che gli altri non possano esservi se non come gli vede lui. Si crea così una sorta di tirannia dell’egoismo, in cui ogni individuo cerca di imporre la propria visione del mondo sugli altri, senza lasciare spazio alle diverse opinioni ed esperienze. Il mondo, alla fine, è il modo in cui ogni individuo si rapporta ad esso e gli effetti che ne derivano e questo varia da persona a persona. Viviamo in un mondo soggettivo, influenzato da esperienze e percezioni; è chiaro che imporre la propria visione non solo è egoista, ma anche insensato. È impossibile pretendere che tutti vedano le cose come noi , perché ogni persona ha il suo punto di vista e modo di interpretare la realtà. 

Rischiamo ogni giorno di cadere nella trappola di “parlare per non intendersi, di scambiare con gli altri una serie di monologhi e non veri dialoghi, poiché ciò che esce dalla nostra bocca non potrà mai essere compreso dall’altro. Questo distacco tra ciò che intendiamo dire e ciò che viene compreso genera delusione e porta a rinchiuderci in noi stessi per evitare altri fraintendimenti. Oppure, c’è il rischio che, consapevoli di questa difficoltà, scegliamo di non voler più parlare con nessuno e ci isoliamo per proteggerci. 

Così giungiamo alla consapevolezza di vedere le cose con occhi che non potevano sapere come gli altri occhi intanto le vedevano, riconoscendo che la comprensione e l’unanimità sono illusioni, ma che l’infinita diversità è una realtà inestimabile. È un’esperienza bellissima riconoscere di essere parte di un mondo popolato da miliardi di persone, uniche e speciali. Questo ci permette di abbracciare la ricchezza della diversità, di aprire le nostre menti ad un universo di prospettive ed esperienze diverse. È un invito a celebrare la varietà della vita, ad accogliere le sfumature che ci rendono unici, e a riconoscere che è proprio nella diversità che risiede la bellezza del mondo. 

Ci è stato sempre detto che l’unica persona che rimarrà sempre al nostro fianco siamo noi stessi, Ma come possiamo sperare di restare in compagnia di uno sconosciuto se, ogni volta che cerchiamo di guardarlo, muore? Eppure, trascorriamo così tanto tempo di fronte allo specchio, nell’illusione di comprendere come gli altri ci vedranno o cercando di modificare la loro percezione di noi, che nemmeno ci accorgiamo di guardare solo un’ombra, una proiezione di ciò che vogliamo o che temiamo di essere. Quell’immagine riflessa può ingannarci, può farci credere di conoscere la persona che stiamo guardando, ma in realtà è solo una rappresentazione distorta data dal giudizio degli altri. Forse è giunto il momento di smettere di fissare quel riflesso e di iniziare ad accettare la bellezza della persona che si nasconde dietro di esso, con tutte le sue sfumature e imperfezioni. Solo allora potremo davvero iniziare a conoscerci e ad amarci per ciò che siamo, non per ciò che gli altri si aspettano che siamo. 

Non valeva più nulla essere per sé qualche cosa”, ma questo non significa che non valga la pena cercare di comprendersi a vicenda, di provare ad amarsi. Al contrario, in un mondo in cui ci sentiamo sempre più distanti dagli altri e da noi stessi, è proprio attraverso l’Amore che possiamo ritrovare il senso di appartenenza. E che cos’è l’Amore, se non quel legame speciale con qualcuno che ci attribuisce un volto che sentiamo come il più simile al nostro? Quando incontriamo qualcuno che ci maschera in modo così affine alla nostra visione, ci sentiamo veramente compresi, perché quell’Amore ci permette di provare ad esporci senza paura di giudizi o fraintendimenti. In questo rapporto di Amore reciproco, ci sentiamo veramente vivi e realizzati, perché è solo attraverso questo sentimento che possiamo trovare la vera gioia nel vivere. 

E nulla era più vero, se nessuna cosa per sé era vera. Arrivando a negare tutto, sentiamo sollievo o angoscia? Secondo me, entrambe le sensazioni si mescolano nei nostri pensieri: proviamo sollievo nel sentirci solamente un filo d’erba in mezzo ad un vasto prato, liberandoci dal peso delle responsabilità e delle aspettative; ma al contempo, sperimentiamo anche angoscia nella consapevolezza di non poter cambiare la vita, poiché siamo destinati a restare soltanto fili d’erba, senza possibilità di influenzare significativamente il mondo che ci circonda. Questo dualismo di emozioni rispecchia la complessità della nostra esistenza: da un lato, desideriamo liberarci dalle pressioni della realtà, cercando rifugio nella sensazione di insignificanza e nell’idea di non avere alcuna responsabilità; dall’altro, ci angosciamo nel renderci conto della nostra impotenza di fronte alla grandezza del mondo e alla nostra limitata capacità di cambiare le cose. 

Il nome cos’è? Gli altri ci conoscono attraverso esso; il nome è la prima cosa che ci attribuiscono alla nascita per distinguerci dagli altri, ma è anche qualcosa che ci limita, che ci blocca e ci fissa per sempre, in qualcosa di immutabile. “Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di ieri; del nome d’oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace e non ne parli più. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita.” La vita continua anche senza conoscere il tuo nome. Il nome è solamente un modo formale per essere etichettati e riconosciuti. La vita è molto di più di un semplice nome; è continua evoluzione, un fluire di esperienze, emozioni e connessioni con il mondo che ci circonda. Dobbiamo ricordare che siamo molto di più di un nome, e che la vera essenza della nostra esistenza va ben oltre una semplice etichetta. 

Ce lo dicono spesso, anche Nietzsche e Pirandello: bisogna vivere l’attimo. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni, scordarsi di tutto, non dare se non l’adeguata importanza alle cose che accadono, non preoccuparci per ciò che ancora non è successo e forse mai succederà. Vivere l’attimo significa abbracciare il presente, senza farsi trascinare dal passato o dal futuro. Non dobbiamo prendercela per giudizi o commenti fatti su di noi, poiché non sempre sono pronunciati con l’intenzione di offenderci, magari semplicemente per comunicare l’interpretazione della altrui coscienza. È importante ignorare le parole superficiali e non darci peso, concentrandoci invece solo su ciò che è significativo per noi. Vivere l’attimo ci permette di apprezzare il presente e di connetterci con noi stessi e gli altri. Invito a rallentare, ad abbandonare il controllo e ad abbracciare l’incertezza. È un modo di esistere che ci porta alla libertà, permettendoci di essere vivi e consapevoli in ogni istante. 

Perché dobbiamo sentirci obbligati a rinchiuderci in qualcosa di statico, di definitivo? Io non l’ho più questo bisogno; perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.” La nostra identità non è cosa statica, ma un processo continuo di rinascita. Ogni istante che viviamo ci cambia, in modo nuovo e unico, e non abbiamo bisogno di aggrapparci a un’immagine prefissata di chi siamo o di chi vogliamo essere. Siamo liberi di esplorarci in ogni momento, di abbracciare le nostre sfaccettature e di accogliere i cambiamenti. Invece di cercare di definirci con aggettivi limitanti, possiamo abbracciare la nostra natura fluida e dinamica, permettendo a noi stessi di evolvere senza confini. E così, ci rendiamo conto che la vera essenza  non risiede dentro di noi, ma si manifesta in ogni cosa, in ogni esperienza e in ogni relazione che ci circonda. 

Probabilmente non saprò mai chi sono per me e chi per gli altri, ma devo accettare questa incertezza. Voglio imparare a vivere nel presente ed essere tranquilla a riguardo delle scelte che devo prendere, senza farmi assalire dalle preoccupazioni. Voglio accogliere le centomila me che mi circondano. Voglio vivere con serenità e gratitudine, apprezzando ogni momento per poter crescere. Voglio trovare la pace interiore, accettando di non poter mai sapere chi sono e chi posso diventare.