un oceano di problemi

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29 maggio 2019

Benvenuti cari lettori al nostro ultimo numero! Vi son piaciuti quelli precedenti? Io mi sono divertito tanto a scrivere articoli e a collaborare con una fantastica redazione. Dato che siamo in clima quasi estivo, con la scuola che finalmente sta per finire, vorrei parlarvi di un luogo che più o meno a tutti piace: IL MARE.

Non pensiate, tuttavia, che vi parli di quanto sia bello prendere il sole e tuffarsi dagli scogli, bensì volevo illustrarvi un problema – di cui si discute da qualche tempo in televisione e sui giornali – legato all’inquinamento marittimo.

Secondo L’ANTER (associazione nazionale energie rinnovabili), se filtrassimo tutte le acque salate del mondo scopriremmo che ogni chilometro quadrato di esse contiene circa 46.000 micro particelle di plastica in sospensione.

Tale dato è sufficiente per comprendere la gravità della situazione, della quale siamo protagonisti anche noi nel Mediterraneo, poiché questo fenomeno non è circoscritto esclusivamente alle cinque isole di plastica.

Il vero problema di questi oggetti di plastica – prodotti grazie a quel maledetto oro nero che tutto comanda e gestisce – consiste nella capacità di questo materiale di reagire con le molecole di acqua, frammentandosi in tante piccole particelle, alcune di esse quasi invisibili – con un diametro di 5mm – e costituiscono una minaccia concreta per gli animali marittimi, che le scambiano per cibo.

Sarebbe ora che tutti noi – io in primis – ci facessimo un esame di coscienza: se vogliamo continuare a prendere il sole su una bella spiaggia caraibica o mediterranea in tranquillità, senza avere la preoccupazione di trovarci improvvisamente branchi di pesci morti, o peggio, un’isola di plastica di fianco al nostro ombrellone, beh… è ASSOLUTAMENTE necessario che si cambi rotta.

Girando per il web ho trovato un interessante spunto,
le cosiddette “4 R”:

Ridurre: optare per prodotti con meno imballaggi, borse in stoffa, batterie ricaricabili, ecc...
Riusare: scegliere il vuoto a rendere, il vetro al posto della plastica, ecc...
Riciclare: selezionare i rifiuti, adottare la raccolta differenziata, ecc...
Recuperare: produrre oggetti diversi dalla loro funzione originale, inventare nuovi utilizzi, ecc...

Tuttavia, è chiaro che una grande mano dovrebbe esserci data dai grandi Stati, e fa piacere che ci siano progetti come The Ocean Cleanup , messo in acqua dal giovanissimo Boyan Slat, #RethinkPlastic del network Plastic Oceans, e ancora attività di sensibilizzazione promosse da organizzazioni internazionali – come Greenpeace – che incidono sugli effetti e non sulle cause del fenomeno.

Al contempo, fa molta tristezza sapere che, purtroppo, in una recente risoluzione dell’Enviromental Assembly delle Nazioni Unite dedicata al tema è stata rimandata al mittente da parte di Stati Uniti, Cina ed India, vale a dire i maggiori produttori mondiali di rifiuti plastici.

Queste cattive notizie ci devono dunque rafforzare e coinvolgerci  ancora di più in questa – oserei dire – GUERRA contro uno pseudo dio che si dica essere di colore nero e di valore inestimabile…

Gabriele Lochi