Il colore di questo mese, il blu, ha decisamente aperto la mia mente a tutta una serie di cose... avevo molte idee, ma alla fine ho deciso di dedicare il mio articolo - anche perché sarà l'incombente giugno il mese del Pride - alle tematiche trattate nel film "La vita di Adele", che tra l'altro vi consiglio vivamente di vedere, se ancora non avete avuto l'occasione di farlo. Riflettere sulla questione è fondamentale oggigiorno, ed è per questo che vi invito - con questo articolo - caldamente a farlo.
Il film, ispirato alla graphic novel “Il blu è un colore caldo” di Julie Maroh, ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 2013.
Racconta la storia di Adele (Adèle Exarchopoulos), una quindicenne timida e discreta che ama leggere e che da grande vorrebbe fare la maestra, ma che vive anche la perenne tensione della sua età verso l’amore e la scoperta del sesso.
Spinta dalle sue compagne, decide di mettersi con il coetaneo Thomas che si è innamorato di lei, ma dopo un primo rapporto Adele capisce che la relazione non può funzionare.
Un giorno incontra per strada una ragazza dai capelli blu che la incuriosisce molto e che le fa scattare qualche dubbio su di sé.
Le sue ricerche la fanno approdare ad un bar per omosessuali dove rincontra Emma (Léa Seydoux), la ragazza dai capelli blu che l’aveva tanto colpita per strada. Emma si presenta il giorno dopo davanti al liceo di Adele e le due se ne vanno insieme sotto gli occhi indiscreti dei compagni, che fanno battutine pregiudizievoli sull’aspetto di Emma e sull’orientamento sessuale di Adele.
Quando poi Adele torna a scuola, i compagni la sottopongono a domande persecutorie e discriminanti, per di più la aggrediscono verbalmente, alludendo alla sua presunta omosessualità.
Questo film rappresenta molto bene la realtà che ancora oggi viene vissuta nelle scuole: frequenti episodi di violenza e di discriminazioni a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere nei confronti di ragazze e ragazzi che vogliono avere la libertà di essere loro stessi.
L’omosessualità, per alcune persone, è ancora vista come una malattia perché si discosta dai canoni di “normalità” che la società impone. Tutto ciò che va al di fuori di questi canoni spaventa, e così lesbiche e gay sono ancora condannati a non esprimere il loro orientamento sessuale in piena libertà senza suscitare lo scalpore collettivo.
In classe, nei corridoi, in bagno: giovani LGBT sono i più esposti a comportamenti discriminatori, all’offesa, alla derisione, alla violenza fisica e psicologica.
La famiglia e la scuola, dunque, ricoprono un ruolo molto importante nella trasmissione di valori educativi improntati all’accettazione e all’inclusione, che possono portare a una sensibile riduzione della frequenza dei comportamenti di bullismo, anche omofobico.
Se la scuola non deve essere solo il luogo in cui si apprendono nozioni, ma il luogo in cui si cresce e ci si forma come cittadine e cittadini, non può abdicare alla sua responsabilità di formare gli studenti alla cultura del rispetto. Tutti devono avere il diritto di poter esprimere liberamente se stessi, nel modo di vestire, di parlare, di comportarsi senza diventare bersaglio di violenza.
Per queste ragioni, nell’ottica di contrastare ogni forma di discriminazione delle persone LGBTI all’interno delle scuole e per favorire lo sviluppo di una società più aperta ed inclusiva, si dovrebbero istituire laboratori e percorsi di formazione sui temi del contrasto al bullismo, della destrutturazione degli stereotipi di genere e della conoscenza dell’identità sessuale, con l’obiettivo di facilitare il percorso di costruzione di sé.
Tutto ciò renderebbe la scuola un ambiente inclusivo e protetto, che formi studenti e studentesse all’approccio con tutti i tipi di diversità e che fornisca strumenti agli adulti per contrastare nell’ambiente scolastico, e non solo, ogni forma di discriminazione e bullismo. Parlarne in classe permette di affrontare questi argomenti in termini non discriminatori e a creare le basi per una vera integrazione.
Alice Cesana