-Alice: Sto diventando matta, papà?
-Padre: Ho paura di sì, Alice, sei matta, svitata, hai perso la testa… ma ti dirò un segreto: tutti i migliori sono matti
Alice in Wonderland
Ero in uno dei campi vicino a casa mia, era l’ora del tramonto, le spighe di grano ancora verdi riflettevano la luce d’oro sulla mia pelle. Avevo la musica alta nelle cuffie e cantavo, ridevo, correvo. Alzavo lo sguardo in alto e sentivo il cielo rovesciarsi su di me, ascoltavo il vento scorrermi addosso. In quel momento non mi importava più di niente. Mi sentivo fatta di luce. Se qualcuno fosse passato di lì, se ne sarebbe andato, probabilmente accelerando il passo, pensando che in me non fosse proprio tutto a posto. Magari avrebbe avuto anche ragione.
Penso che folle sia colui che tasta la vita più a fondo degli altri. È chi la sente scorrere in sé irrequieta, è chi sente l’impulso di starci dentro ma non sa come fare, non sa come contenerla, non sa come esprimerla.
Prendo come esempio Vitangelo Moscarda, uno dei personaggi pirandelliani più conosciuti. Lui è la rappresentazione di colui che viene considerato folle agli occhi degli altri, ma che in fondo ha fatto ciò che di più umano e autentico ci sia: si è slegato dalle catene della normalità, delle convenzioni sociali, delle forme, per riuscire a sentire la vita. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude, e non sa di nomi, la vita, dice. Si è accorto che i veri matti sono gli altri. Quelli che vivono in una società fatta di schemi, di credenze, di impostazioni, di regole non scritte ma da dover rispettare, di buone maniere finte, di convinzioni create solo per nascondere paure. Ha capito che i veri pazzi sono quelli che vivono imbrigliati in tutto ciò che non è vita e non se ne accorgono mai. Sono quelli che guardano il folle e lo deridono, lo isolano, lo rinchiudono, non lo stanno ad ascoltare, quelli che pensano di aver chiaro tutto, mentre invece sono semplicemente ciechi e inconsapevoli di essere coloro che creano quel mondo inquinato alle radici di cui anche Svevo parla.

Chi è folle è semplicemente più vivo, elimina la distanza tra sé e l’impetuosità della vita. Toglie tutto ciò che c’è di opaco, di troppo impostato, di freddo e vuoto. Distrugge le pareti vitree delle gabbie che l’uomo stesso si costruisce attorno. Chi è folle rompe le catene della noia. È consapevole di essere vivo per un tempo breve e limitato, sa che non può adeguarsi a niente, perché sarebbe vita sprecata. Chi è folle non riesce a stare nei canoni della normalità; che poi, a pensarci bene, questa è una di quelle parole che di per sé non significano niente. Da vocabolario è definita come “condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità”. Queste parole spengono tutta la vivacità che sta nella vita. Cosa c’è di bello nella generalità? E nella consuetudine, che in fondo è solo grigia abitudine?
Ci vuole coraggio per scegliere di vivere, ci vuole coraggio per essere folli. Per scegliere di stare sotto al temporale mentre tutti gli altri vanno a ripararsi sotto ai portici della città, solamente per sentire l’acqua bagnare il viso, la pelle, l’anima. Per ballare nel centro di una piazza piena di persone, per correre a piedi scalzi in un campo e abbracciare i tronchi degli alberi, per partire per qualche posto lontano, lasciando tutto quello che si ha alle spalle, andando in cerca di parti di sé. Chi è folle almeno sa di essere vivo. Van Gogh sentiva le vibrazioni della natura quando si sdraiava nei luoghi soleggiati in cui andava a dipingere. La notte si svegliava e sentiva il cielo pieno di stelle pulsare, percepiva una tensione verso la vita che pochi altri, probabilmente, sentono. Lui sì, era pazzo. Visse per anni chiuso in case di cura, chissà quanto si è sentito incompreso, distante dal mondo comune, chissà quanta sofferenza ha provato. Però aveva dentro di sé un universo, lo si percepisce attraverso tutti i capolavori che ha dipinto. Ecco, lui era pazzo, ma era tanto vivo.
Probabilmente si diventa folli quanto più ci si avvicina alla vita. E forse dalla follia nasce anche tanta originalità. Ogni idea, ogni progetto grande, ogni opera, nascono da chi, nella normalità, non ci vuole proprio stare. E vuole altro. E cerca altro, perché sente che ne ha bisogno. La normalità non spinge alle stelle, ma àncora a terra. Incatena al quotidiano senza dare uno sguardo ampio su niente.
Bisogna sentirsi vivi e uscire dagli schemi grigi in cui siamo immersi, a costo di essere derisi.
Avere il coraggio di essere folli, per non rischiare di non iniziare mai a vivere per davvero.
Marta Fumagalli