trasumanar per verba…

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27 maggio 2023

Ogni giorno, dal momento in cui apro gli occhi al culmine della notte, vivo di pensieri assordanti, di idee, di emozioni che non mi lasciano tregua. Trascorro le mie giornate immersa nello studio, concentrata sui miei obiettivi e sulle mie ambizioni, poi, regolarmente, chiudo i libri e mi guardo intorno. Sposto il mio sguardo sulle pareti bianche della mia stanza e leggo con un filo di voce la carta bianca su cui l’inchiostro dipinge i caratteri di una poesia di Leopardi, Pascoli, Baudelaire. I miei occhi seguono la traiettoria lineare dei versi e la mia anima palpita ad ogni eco, ad ogni strofa. Ed è come se ognuno di questi testi mi stesse raccontando, come se il mio spirito si traducesse nell’alter ego di tutti questi innumerevoli autori e, ogni volta come se fosse la prima, è come se riuscissi a vederli. Con la forza inestirpabile della parola mi omaggiano con il dono privilegiato di una chiave dorata, una chiave che in qualche modo inspiegabile riesce ad aprire la strada rivelatrice del loro mistero, della loro anima. Una chiave che mi permette di entrare in contatto con una realtà che supera i limiti del concreto, i limiti del finito. Il mio corpo perde consistenza e si fonde pienamente e profondamente con ogni fibra della loro psiche, la mia pelle freme per i brividi ed io, come Dante, “trasumano”, non distinguo più le mie fattezze, i miei lineamenti umani. 

Il centro della mia esistenza gira da sempre intorno a queste sensazioni estremamente intense ed inspiegabili, in cui ogni istante corrisponde per me ad un’emozione nuova. Questa sensibilità, questa piena identificazione nella letteratura è qualcosa di stupendo, credetemi, ma arriva sempre ad un punto in cui la mia anima pare scoppiare, trasudare questa commozione e trepidazione e spesso, spessissimo, provo il desiderio irrefrenabile di espormi agli altri, di raccontare loro la causa di questo rapimento che il concetto sacro di “parola” provoca in me. Il problema, però, è che nessuno che io abbia mai conosciuto mi ha ancora compresa. Non è complicato capire quando questo accade, perché ho imparato a riconoscerlo sui volti dei miei genitori, dei miei amici. Accade quando senza pensarci, senza un particolare motivo – forse per pura necessità – decido di aprirmi e parlare di un verso, una poesia, della psiche di un autore che mi ha catturata. Ben presto mi scopro a divagare, non presto più attenzione a ciò che mi circonda, perché tutti i sensi si annullano sotto la spinta delle mie stesse emozioni. Poi, come se fossi alla ricerca di approvazione, guardo i loro volti e hanno tutti la stessa espressione. Sono straniti, distratti, quasi inquietati. Il loro sguardo mi giudica con l’occhio critico di chi non approva, di chi non comprende. Allora quel mio entusiasmo, quella voglia di dialogo e confronto si traduce in uno sguardo neutro. Cerco di reprimere la mia amarezza, fingendo che i loro occhi indifferenti non mi abbiano scalfita in nessun modo, ma dentro di me accetto con fatica l’idea di riservare al mio solo cuore illimitati pensieri e fantasticherie. E il mio desiderio genuino viene represso ed io torno ad implodere. 

Sono arrivata ad un punto in cui decido di tacere per non essere oggetto di divertimento per le idee altrui, in cui sacrifico il mio desiderio di confronto per non sentire le insopportabili parole sminuenti nei riguardi di qualcosa che per me è vitale. “Smettila di dire che Leopardi non era pessimista: è così e basta”, “Come fai a leggere queste poesie? Sono noiosissime”, “Stai veramente leggendo Il Piacere di d’Annunzio? Non sei normale”, “Potevi usare il tuo tempo in modo migliore piuttosto che buttarlo per imparare a memoria una poesia”. A volte mi convinco di avere qualcosa che non va, mi dico che forse per una ragazza della mia età non dovrebbe essere normale dedicare una parte così consistente della propria vita ad un’attività così astratta. E quindi non ho mai raccontato a nessuno di quella volta in cui mi misi a piangere studiando il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi o del vero motivo per cui ho amato questo autore in modo così intenso. “Perché la sua voglia di vita era così grande, forse troppo perché noi potessimo concepirla come tale”. 

Non ho mai raccontato a nessuno delle volte stesa sul letto a guardare il soffitto desiderando con tutte le mie forze che accanto a me ci fosse qualcuno con cui diffondere gli echi dei miei pensieri. Ad assorbire questo desiderio è sempre stata la mia stanza, che, a forza di ascoltare le mie riflessioni correre per le pareti, ha iniziato a trasudare vita e a possedere un’anima, come dice mia madre. Non ho mai raccontato a nessuno delle notti passate a scrivere su un pezzo di carta le palpitazioni del mio cuore, dei minuti spesi ad osservarmi nel riflesso della finestra e a chiedermi se esistesse qualcuno disposto a vedermi, a vedere la vera me. Qualcuno che non mi ascolti per compiacermi, per un semplice gesto di gentilezza, ma qualcuno che mi ascolti perché il suo cuore arde dei miei stessi desideri, delle mie stesse passioni. Qualcuno che abbia la voglia genuina di trascorrere le ore a parlare di libri senza filtri, senza regole. Qualcuno che legga nei miei occhi la sua stessa anima e la comprenda dal profondo del suo cuore. Qualcuno a cui mostrare le poesie che non ho mai letto a nessuno, senza provare il timore che si soffermi alla superficie, ma con la sicurezza che scavi in profondità, oltre il limite materiale dell’inchiostro. Nel frattempo, rimango in attesa, aspettando che qualcuno, guardandomi negli occhi, codifichi la mia essenza e la condivida completamente e sinceramente, con la stessa passione che scuote le viscere e la stessa vitalità che rende ogni aspetto dell’esistenza sublime. 

Carolina Maggi