street art: legalize?

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17 aprile 2019

Molti fanno coincidere la nascita del graffitismo con la Seconda Guerra Mondiale, in relazione all’abitudine dei soldati americani di disegnare sulle trincee e luoghi di guerra il simpatico personaggio “kilroy” – un omino calvo con un grande naso che faceva capolino dalla trincea.

Tuttavia, le origini del graffitismo sono ben diverse: nasce infatti a Filadelfia negli anni ‘60 e raggiunge pian piano il suo apice negli anni ‘80, diventando un fenomeno famoso in tutto il mondo – Milano compresa, con Carlo Torrighelli.

Il graffitismo consiste nel riportare una scritta o la propria firma su dei muri utilizzando vernice spray. 

È un movimento che sin dall’inizio si è dimostrato in continua evoluzione, a seconda della creatività degli artisti coinvolti.
Esempio: intorno agli anni ’70 compaiono i primi graffiti dotati di una outline (riempimento dei contorni). È negli anni ottanta, poi, che il movimento diviene mondiale.

Nonostante tutte le campagne anti-writerscosì si definiscono gli artisti – le sfide tra writers continuano e lo stile è sempre più elaborato, definito wild style.

Un murales è invece un dipinto realizzato su una superficie in muratura. 

Questo termine ha dato il nome al movimento artistico messicano del muralismo, nato dopo la Rivoluzione del 1910 in Messico.
Si tratta di un movimento artistico che tralascia le tecniche tradizionali, colorando il cemento con vernici per auto e pistole ad aria.

Le opere muraliste sono nate come opere destinate al popolo, ritraenti proteste e lotte popolari, per questo devono essere visibili a tutti e realizzate su muri cittadini. È nel 1930 che questo movimento diviene internazionale, sbarcando negli Stati Uniti e in tutta l’America Latina.

Un importante aspetto di questo tipo di pittura è che – a differenza del graffitismo – non deve essere realizzata per forza con bombolette di vernice, ma con diverse tecniche talvolta anche più complicate, tra cui ad esempio l’affresco.

I murales dunque non devono essere confusi con i graffiti: questi nascono da scritte, perlopiù da firme, i murales invece sono dipinti veri e propri, realizzati sui muri attraverso una serie di tecniche più articolate.

Legalizzarli?
È importante, prima di parlare di legalizzazione di graffiti e murales, ricordare la differenza tra i due.

I graffiti di fatto sono nati per sfidare la legalità, legandosi da subito a movimenti quali l’hip-hop e il rap, e da allora sono stati un mezzo per rappresentare una continua lotta fra band e una sfida a chi si facesse notare di più.
I murales sono invece dipinti che seguono un ideale e che hanno come obiettivo la mobilitazione delle masse.

Mentre i graffiti hanno un’illegalità intrinseca e consapevole nel loro movimento, i murales non nascono come sfida alla legalità e son ben lontani da questo proposito.

I muralisti sono gli artisti del nuovo millennio, secondo loro per trasmettere un ideale non basta più esporre un’opera in un museo, bensì deve essere visibile a tutta la popolazione… ed ecco che entra in gioco la realizzazione dei murales su muri esterni.
Questi artisti vogliono “gridarela verità di gruppi di persone, e i motivi per i quali dipingono sono molteplici: dare vita alle città, muovere le coscienze, evadere dal mondo urbano e protestare contro un potere opprimente.

Come tutte le forme di arte, anche questa – secondo il mio parere – deve avere la possibilità di esprimersi, ma è anche vero che deve esprimersi entro il rispetto per gli altri.
Ricordiamo sempre che la nostra libertà finisce dove inizia quella altrui; i murales devono essere realizzati con criterio, andando a giovare alla società piuttosto che a danneggiarla: sono molto diffusi purtroppo deturpamenti di opere preesistenti o di muri privati, che sicuramente non concorrono al miglioramento della società.

Di esempi di murales art lecita e legalizzata ce ne sono molteplici, molte città si stanno adoperando per aumentare la libertà di questi artisti fornendo luoghi completamente destinati alla realizzazione delle loro opere. Un esempio è il progetto iniziato a Filadelfia dove, invece che essere repressa, tutta la creatività di questi artisti è stata convogliata per la realizzazione di più di 3000 opere urbane.

In conclusione, penso che nessuno possa sostenere che opere come quelle di Banksy o di Nychoscercateli e date un’occhiata ai loro lavori, se non sapete chi sono – peggiorino i luoghi pubblici, e sono queste le espressioni d’arte per le quali valga la pena muoversi, magari prendendo esempio da Filadelfia, per dare carattere e colore ai muri grigi e monotoni delle nostre città.

Daniele Bonanomi