storia del colore blu 

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La macchina del tempo

06 giugno 2025

Sembra che i primi esseri umani non conoscessero il blu. Le pitture rupestri – le più antiche opere d’arte nella storia – non ne presentavano alcuna traccia. 

I testi antichi che abbiamo a disposizione non hanno nemmeno una parola che significhi “blu”. Il caso più famoso è quello di Omero, che nell’Odissea descrive il mare come “colore del vino scuro”. I greci non avevano infatti una parola precisa per indicare il blu: venivano piuttosto usati termini come “glauco”, che esprimeva un colore ceruleo o tendente al verde, e anche se le parole che esprimevano colori netti come il rosso o il giallo erano in uso, la parola il cui significato è “blu” non è mai esistita. 

Nei testi greci, la descrizione tramite il colore non serviva ad analizzare l’aspetto di un oggetto, ma piuttosto a rievocare una forte emozione nel lettore. Il colore era molto soggettivo: i testi filosofici e scientifici dell’epoca mostrano diversi dibattiti sul colore, visto come il prodotto di luce, superficie e materia piuttosto che proprietà intrinseca – pensieri per niente lontani dalla visione scientifica moderna, secondo cui i colori sono radiazioni elettromagnetiche riflesse dagli oggetti e interpretate dal nostro cervello attraverso i coni retinici dell’occhio umano. 

Per gli antichi greci, il colore dipendeva dunque dalla luce, dalla materia e dall’emozione che provocava; preferivano marcare la quantità di luce riflessa piuttosto che la sua tonalità cromatica.  

L’assenza del blu in varie culture era probabilmente dovuta alla sua rarità in natura. I frutti blu erano pochi e poco diffusi, ci sono pochissimi animali blu, nessun cibo quotidiano è blu. Molti popoli antichi descrivevano il cielo — comunemente identificato nel colore blu — come bianco durante il giorno e nero o grigio durante la notte o semplicemente privo di colore definito. Essendo dunque il blu irrilevante alla sopravvivenza, noi umani per lungo tempo non abbiamo trovato il bisogno di distinguerlo dagli altri colori. Secondo la scienza della percezione, non vediamo ciò per cui non abbiamo nomi. Se non si hanno parole per il blu, il cielo risulta semplicemente luminoso, chiaro o scuro.  

Gli egizi furono uno dei pochissimi popoli a conoscere e usare il blu in modo significativo, tanto da considerarlo un colore sacro e affiliato alle divinità. 

Sono famosi per aver inventato il primo pigmento sintetico, il blu egizio. Il pigmento era ottenuto mescolando sabbia silicea, ossidi di rame, carbonato di calcio e soda, cotti a temperature elevate. Il risultato era una polvere di un colore blu intenso, estremamente prezioso ed apprezzato per la sua brillantezza.  

Non era solo un colore ma anche un potente simbolo; richiamava il colore del Nilo, fondamentale per la vita e la sopravvivenza, era usato per raffigurare divinità, dipingere oggetti funerari e amuleti, nella convinzione che offrisse protezione e vita eterna. Si trovava principalmente sulle pareti e nelle tombe dei templi, nelle statue e nelle maschere funerarie (come la famosa maschera di Tutankhamon), e nei gioielli. 

Tempo dopo comparve anche in Mesopotamia e in Persia, come simbolo religioso e cerimoniale. Veniva ricavato soprattutto dal lapislazzuli, pietra costosissima importata dall’odierno Afghanistan. Anche nel Medio Oriente simboleggiava la divinità e la regalità, tanto che Sumeri, Assiri e Babilonesi lo consideravano un dono degli dei; la dea Ishtar era spesso rappresentata con gioielli di lapislazzuli. Secoli dopo, nella Persia islamica, il blu esplose come colore per le cupole e le pareti delle moschee per avvicinarsi al cielo, mantenendo costantemente la connotazione religiosa che il colore portava con sé.  

Il blu diventò più familiare in Europa solo nel tardo Medioevo, quando fu scelto per la rappresentazione della Vergine Maria nel culto mariano. I pittori usavano ancora il lapislazzuli, e fu così per diversi secoli fino al blu di Prussia, nato per caso.  

Nel 1706, il colorista tedesco Johann Jacob Diesbach stava cercando di produrre un rosso acceso, quando usò per errore un lotto di potassa contaminato di sangue animale. Quel che ottenne fu un blu mai visto prima. A differenza del lapislazzuli, costoso e raro, il blu di Prussia era sintetico e facilmente riproducibile con molti meno soldi, rendendolo non solo popolare tra gli artisti (Hokusai, Van Gogh, Canaletto, Goya…), ma anche un colore democratico; il blu smetteva di essere di proprietà esclusiva della nobiltà e diventava un pigmento come gli altri, venduto in tubetti, chimico e fabbricabile.  

Flora Ceschel