Bentornati cari lettori!
Dopo aver chiarito la questione dell’inferno rosso venezuelano, mi sono chiesto quale giallo politico avrei potuto svelarvi questo mese. Riflettendo sul panorama italiano odierno, ho trovato tre parole interessanti: reddito di cittadinanza.
Sono più che sicuro del fatto che tutti voi – studenti e non – avete sentito parlare di questo argomento molto delicato in televisione e/o sulle testate dei giornali politici. Come è mio solito fare, vorrei prima di tutto presentarvi la situazione in un breve riassunto.
1 giugno 2018: il politico, giurista e accademico italiano Giuseppe Conte viene incaricato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di formare un governo di coalizione mediante un accordo – sottoscritto da un contratto – tra le forze politiche vincenti nelle lezioni del 4 marzo, ovvero la lega nord e il movimento 5 stelle. Proprio quest’ultimi, capeggiati dall’attuale vicepresidente del Consiglio in carica Luigi Di Maio, sono i principali artefici della manovra politico-economica di cui vi parlerò nelle seguenti righe e della quale tutti parlano, talvolta senza sapere di cosa si tratti.
Dunque, che cos’è? Il reddito di cittadinanza è una misura politica di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, ed è volta a favorire le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione.
Tuttavia, per accedere a tale normativa bisogna rispettare una serie prerogative. I requisiti reddituali e patrimoniali per accedere al beneficio prevedono il possesso:
- di un ISEE (Indicatore della Situazione economica Equivalente) inferiore a 9.360 euro;
- un valore del patrimonio immobiliare non superiore a 30.000 euro;
- un valore del patrimonio familiare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente del nucleo familiare fino ad un massimo di euro 10.000 (che può incrementare di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo, fermo rimanendo che i predetti massimali sono ulteriormente aumentati di euro 5.000 per ogni componente con disabilità);
Perciò si può affermare che tale normativa, non ancora definibile legge, arreca alle famiglie in difficoltà finanziarie un sostegno economico al fine di trovare un lavoro.
Beh, qual è il dilemma che tante fazioni politiche si pongono allora? Il vero problema non riguarda i soldi che vengono impiegati per la manovra, né l’apparato burocratico e di controllo che si dovrebbe mantenere funzionante, bensì l’aumento costante delle tasse e la penuria di lavoro. E se questo diritto fondamentale dell’uomo sancito dalla costituzione viene meno, come può una persona – sebbene sia sostenuta in minima parte dallo stato – pretendere di essere integrato o reintegrato nel mondo del lavoro?
L’Italia è un paese in preda ad una crisi che persiste da almeno 10 anni, che sta distruggendo aziende, famiglie e soprattutto la dignità dell’uomo.
Non sono qui a fare il salvatore della patria né tantomeno l’esperto di economia, ma so che bisogna partire dalla radice e non dalle foglie, affinché un problema venga eliminato. Se tutti i parlamentari seduti in questo momento su una comoda poltrona smettessero di pensare al loro gruzzolo e incominciassero a preoccuparsi del bene comune, mentre la gente muore di fame, oserei dire che saremmo già un passo avanti.
Ma ahimè, tale visione è piuttosto utopistica e dunque consiglio a voi, cari lettori, di mettervi in gioco personalmente, in quanto noi siamo il futuro di questo bellissimo paese.
Gabriele Lochi