meraviglia

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28 dicembre 2020

Disquisendo di purezza e fanciullezza, non si può fare a meno di addentrarsi nei meandri del bistrattato concetto di meraviglia: questo carattere contraddistingue una mente da bambino, da curiosus, da uomo che ricerca la spiegazione del vero nel vero.

Questo “vero” di cui ci si può stupire è ricercabile in tutto: le arti – non solo quelle grafiche-scultoree, ma anche quelle letterarie, musicali e cinematografiche – sono sovente considerate, a ragione, come uno dei più riconosciuti portali di accesso alla meraviglia di cui parlo. Come arte però non dev’essere, a mio avviso, considerato esclusivamente il prodotto dell’uomo: è arte anche la tela imperlata di rugiada di un solingo ragno, o la tortile spirale di un grezzo cavolo romanesco.

Tutto, in natura, è appagamento dell’occhio e freccia del core, ma l’uomo di oggi non pare proprio rendersene conto, e distrugge indiscriminatamente tutto ciò che il mondo ha da consegnarci, in nome del perverso dio del denaro e dell’odio.

L’uomo, sempre più cinico e chino all’indifferenza della rete e del mondo occidentalizzato, ha perso progressivamente la capacità di essere incantato, ma ha guadagnato quella di essere incatenato all’ipercinetica realtà individualista di oggi.

Per i filosofi antichi, è proprio del filosofo l’esser pieno di meraviglia, e nessun altro cominciamento ha il filosofare che proprio il meravigliarsi. La meraviglia è indi quel senso di stupore – quasi di turbamento interiore – che viene sperimentato dall’uomo, quando, una volta soddisfatte le necessità materiali-pratiche, inizia a elucubrare e arrovellarsi sulla propria esistenza, e sul proprio rapporto con il mondo. Nella Metafisica, Aristotele afferma che inizialmente gli uomini rimanevano affascinati di fronte ai più semplici ostacoli, ma col tempo essi, progredendo poco alla volta, sono giunti a interrogarsi su problemi sempre più gravi, come, ad esempio, quelli concernenti i fenomeni lunari, o del sole, o degli astri in generale.

In precedenza ho affermato che la meraviglia è scaturita dall’arte, ma, sovente, la stessa meraviglia è genitrice dell’altra. Facciamo un passo indietro: è assodato che la meraviglia sia l’input del filosofare, e che senza di essa non si arriverebbe a porsi interrogativi sulla propria realtà.

La meraviglia è però madre di due discipline: della filosofia, e dell’arte. Queste due figlie si contrappongono, nella loro visione del mondo: la filosofia ricerca la solidità, la categorizzazione, l’indissolubile legame con il mondo – per quanto contradditorio esso possa essere. La seconda figlia rimane invece fedele alla primigenia sensazione di stupore, e getta su carta, con mani d’inchiostro o di pittura, la meraviglia nuda.

Se il filosofo ricerca in modo attivo la coesione unitaria della meraviglia, guardandola fieramente, con orgoglio e determinazione, l’artista si accascia ai suoi piedi, e si fa violentare dalla madre, rapito da un amore edipico e profondo.

Il poeta, così come il filosofo, coglie la molteplicità del mondo, ma, a differenza dell’altro, si abbandona ad essa, e vi si lascia affondare di peso. Il filosofo invece si ispira all’iniziale sentimento di meraviglia, dal quale violentemente si allontana per giungere ad una più metodica comprensione delle mille sfaccettature del mondo.

Pietro Locci