litigata in do# minore

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26 aprile 2020

Marte 20 aprile 2100

Dopo essere tornato dalla gita nel tempo, la mia mente da scienziato del ventiduesimo secolo ha focalizzato la propria attenzione su un pensiero … ma esisitono delle “grandi mani”? Ovviamente non intendo ciò che nel nostro corpo viene dopo il polso, ma grandi mani musicali che hanno impreziosito la musica fino a permetterle di diventare una delle migliori espressioni dell’animo umano. Ero stanco di sentire la solita musica del nuovo secolo derivante dal computer, così mi sono precipitato a sfogliare i vari manuali di musica, e mi sono casualmente imbattuto in due nomi che erano scritti in grassetto. – Probabilmente sono particolarmente importanti – ho pensato. Il primo era un nome difficile, tedesco, Ludwig van Beethoven, mentre il secondo era Farrokh Bulsara, alias Freddie Mercury. Tuttavia, per mio dispiacere, il manuale non diceva molto a loro riguardo, ma quei due nomi in grassetto mi incuriosirono particolarmente, a tal punto da stuzzicare il mio intelletto. Mi balzò subito nella mente l’idea di utilizzare la macchina riesuma-defunti che ho inventato quando avevo 5 anni. Era piuttosto impolverata, ma sembrava funzionare. Difatti, dopo aver inserito quei due strani nomi nella macchina, entrambi i personaggi mi apparvero davanti in carne ed ossa.
Il primo presentava un’espressione corrugata con capelli folti e grigi, mentre Freddie portava con grande spavalderia degli incisivi alquanto pronunciati ed era vestito in un modo stravagante, indossando una strana canottiera bianca soprastante ad un genere di pantaloni mai visti – si chiamavano jeans, credo. Bah, moda del ventunesimo secolo. –
I due si scrutarono fino a che non intervenni in prima persona chiedendo loro di presentarsi.
Beethoven sembrò non capire, eppure non mi sembrava di aver detto qualcosa di strano, mentre l’inglese con la sua immediata esuberanza iniziò a parlare:
– Io sono il più grande performer della storia della musica e ho venduto milioni di dischi in tutto il mondo con la mia leggendaria band, i Queen – disse.
Soddisfatto della risposta, mi girai verso il tedesco, che però non accennava a parlare. Provai a ripetergli la richiesta, invano. Allora pensai che ci fosse un problema nel sistema, mentre Mercury iniziava a prendersi gioco del povero Ludwig, il quale brillantemente, a differenza nostra, capì la situazione e mi fece comprendere che lui non riusciva a sentire, poiché sordo. Tale affermazione mi fece pensare se non avessi sbagliato a digitare il nome e avessi preso un “fake”, come dicono i giovani di oggi, ma questo non mi impedì di risolvere il problema inserendo dei sottotitoli digitali.
A quel punto, cominciò a deliziarci con le sue parole innamorate della musica
– Io sono Ludwig van Beethoven e sono il più grande compositore, pianista e direttore d’orchestra del periodo classico, preromantico.
– MA COSAAA?!?! Se a malapena senti, come fai ad essere un fantomatico compositore classico? – soggiunse Freddie Mercury
– Ma fai silenzio! – ribatté – non sai nemmeno chi sono, già questo mi fa pensare che sei un ignorante squattrinato!! – aggiunse il compositore.
A questo punto dovetti intervenire io a dividerli, perché la situazione stava degenerando
– Se non mi credi- continuò Beethoven- chiedi a quel mezzo-uomo di farti ascoltare con il grammofono la sonata n.14 in do# minore op.27 “Al chiaro di Luna”, il mio più famoso brano! –
Non disponevo purtroppo di quello strano oggetto citato dal tedesco, ma avevo un modestissimo e modernissimo “you tube”, dove inserii quel titolo che sapeva già di qualcosa di romantico.

La mia idea fu subito confermata dalla musica proveniente da un pianoforte, che sembrava assumere sembianze divine; era una melodia dolce, il cui primo movimento destava una certa malinconia e ti coinvolgeva a tal punto da farti immedesimare nel viandante, protagonista del brano. Chiudendo gli occhi durante l’ascolto, si riusciva quasi ad immaginarsi di essere al centro di una notte stellata al chiaro di luna, di poterne vivere la pienezza, di ammirare la bellezza del cielo stellato che lo avvolge. Seguiva un momento in cui l’animo, prima esaltato da tanta bellezza, si rasserenava, in cui tornava la calma, dietro la quale si celava però una quiete solo apparente, nutrita di insicurezza e confusione.
Al termine del brano avevo gli occhi lucidi, quasi lacrimavo dall’emozione: non avevo mai sentito una musica del genere.
– Avete sentito? – domandò Ludwig – l’ho scritta per la mia amata Giulietta Guicciardi che tuttavia, dopo un breve periodo insieme felici, mi ha abbandonato-
– Sfigatooo!!- esclamò il solito Freddie – adesso ti faccio sentire io un brano decente, non questa noia. Il suo titolo è “Bohemian Rhapsody”. – Tuttavia, prima che iniziasse il brano, potevo cogliere nelle parole del performer un lieve accento di ammirazione ed emozione nei confronti della magica melodia.
Quando sentii le prime tre note, fui subito riportato al viaggio che avevo compiuto un mese prima, in cui avevo per sbaglio udito una canzone simile. Con il susseguirsi delle note e delle parole si percepiva come tale brano fosse un “pasticcio meraviglioso”, all’interno del quale erano stati inseriti una ballata, un inserto operistico e un’esplosione di chitarre rock che descrivono la vita del cantante. Notai un’espressione di stupore nel volto di Beethoven, che in un certo senso mi sorprese, sia perché nonostante la sua sordità egli riusciva a percepire sulla propria pelle tutte le note, sia perché non capivo come un tradizionalista ligio alle regole della musica classica potesse accettare questo genere. Ovviamente, al termine dell’ascolto Freddie sottolineò un particolare che non immaginavo ci fosse.
– Mi hanno deriso per questo brano, mi hanno insultato, anche perché dichiaro la mia omosessualità … ma nel ventunesimo secolo, in particolare dopo la mia morte, tutti l’ascoltavano e lo cantavano a squarciagola nelle serate stellate … INCOERENZA UMANA!!-
– Ma di cosa stiamo parlando?! – irruppe Ludwig – Cosa sono quegli strumenti così graffianti?! Il pianoforte, i violini e i violoncelli, questi sono strumenti, quelli invece sono creature del diavolo. –
– Ascolta razza di sordo ignorante, sono chitarre, e se non lo sai, il mondo progredisce e bisogna accettarlo. –
– Sì, ma bisogna ricordare e mantenere le proprie origini. Se ascolti bene, vedrai che tutto ciò che hai fatto si basa sul mio lavoro. –
Insomma, continuarono a insultarsi e a litigare su cosa fosse giusto e cosa no. Tuttavia, entrambi provavano un sentimento di ammirazione l’uno per il lavoro dell’altro, pur non volendolo ammettere. Ciò che mi fece capire quel pomeriggio trascorso insieme ai due illustri musicisti, è che niente è giusto o meno nell’arte, in particolare nella musica, ma semplicemente bisognerebbe oltrepassare qualsiasi confine e pregiudizio, non soffermandosi, dunque, su un’unica playlist di spotify, poiché queste “grandi mani” non hanno lavorato per niente. Da quel momento decisi che avrei portato nel mio mondo quei due simpatici signori che semplicemente possiamo chiamare “geni” della musica, ampliando quel manuale musicale del ventiduesimo secolo che non riportava alcuna memoria loro, il che era alquanto imbarazzante.

Gabriele Lochi