l’e-red-ità del bachi?

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14 febbraio 2019

Passato qualche mese dal fatidico “INIZIA SCUOLA” segnato in rosso sul calendario, capita a chiunque, con la testa appoggiata al banco nei cambi dell’ora o in coda alla macchinetta durante i dieci minuti d’intervallo, di chiedersi una cosa in particolare… “chissà le felpe, quest’anno”.

Ebbene sì, che l’iniziativa piaccia o meno, tra noi studenti il discorso esce sempre fuori ed i commenti a riguardo sono variegati ed infiniti. Ed il discorso delle felpe è, da qualche anno a questa parte, strettamente legato alla competizione del rinomato logo della scuola. 

Pensando al tema di questa prima edizione del giornalino scolastico, un’immagine precisa ha occupato la mia mente: una colorata, luccicante, rumorosa lattina di Coca Cola.
Ma ve lo siete mai chiesti com’è stato possibile per una semplice bottiglietta di bibita analcolica ritrovarsi a distanza di qualche decennio nelle case, nei ristoranti, insomma nei bicchieri di più di 170 paesi del mondo?

Il logo, ragazzi, il logo… è proprio il logo l’emblema della continuità e della coerenza di questo prodotto. Il corsivo che richiama la semplicità, il rosso accattivante, tutte strategie utilizzate per far sì che due piccole parole ormai internazionali rimangano impresse a vita nella mente di tutti. Insomma, al di là del sapore – che è soggettivo e, se vogliamo dirla tutta, non è una bevanda consigliata per la salute del nostro organismo – a chi non piace il logo della Coca Cola?
Quindi, quello della Coca Cola, così come il logo di tante altre multinazionali e generalmente di qualsiasi attività sul mercato, è una vera e propria icona che ha l’obiettivo di rimanere sempre fedele a sé stessa, ce n’è una e una soltanto. 

Ma arriviamo al dunque… il Bachelet? Da cosa e, soprattutto, in cosa ci riconosciamo, noi studenti? Pensate a tutte quelle persone che da Londra se ne tornano con la felpa di Oxford o chi da Boston si vanta della sua felpa di Harvard, istituti scolastici che addirittura esportano il loro marchio oltreoceano, in alcuni casi. 

Ora, non è sicuramente il caso del nostro caro Bachelet, che non ha bisogno di tutta questa visibilità… ma l’idea di avere un logo tutto suo, credo che non gli dispiacerebbe affatto. Ciò che ci manca è quindi una solida identità, nella quale ci possiamo ritrovare e con la quale la nostra scuola arriverebbe prima al traguardo di essere, prima ancora di apparire: tutti questi concorsi organizzati per premiare – in modo discutibile, tra l’altro – l’idea più originale, è un po’ come se si volesse affermare il singolo studente su tutto l’istituto e non invece far sì che il suddetto studente utilizzi le proprie capacità artistiche per rielaborare quello che dovrebbe essere il simbolo del Bachelet, che siano delle iniziali, un leone, una mucca, un dalmata o un topo che al mercato mio padre comprò. E, considerando che la mia sfilza di felpe del Bachelet sembra più una collezione buffa e ambigua degna di apparire su qualche programma di Real Time, a mio parere è arrivato il momento di mettere da parte il primato del Picasso di turno sull’istituto e creare un bel gruppo di tanti Picassini che si occupano di dare vita alla nuova identità grafica del Bachelet, il nuovo scudo dietro al quale tutti noi possiamo schierarci per tirare avanti – tra proiettili di matematica e lance di filosofia – fino alla fatidica maturità. 

Che, per di più, grazie alla direzione di questo giornalino e all’organizzazione del da farsi, ho scoperto che c’è veramente del talento da vendere a livello artistico, quindi… cerchiamo di dare al nostro caro vecchio Bachelet un buon motivo di vanto, su!

Ringrazio la mia professoressa di scienze – Cristiana Fisogni – ed i miei compagni di classe, con i quali mi sono confrontata sull’argomento per dare delle solide fondamenta a questo articolo.
Per qualsiasi tipo di feedback – che mi piacerebbe molto ricevere, a me personalmente come a tutto lo staff del giornalino – alunni, professori o bidelli che siate, potete scrivere alla nostra mail postit.bachelet@gmail.com o al nostro profilo instagram @post.iit, e insomma, spero di avervi fatto riflettere.

Ci becchiamo alla prossima edizione!


Federica Falbo