l’antigone di sofocle “a modo nostro” 

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21 dicembre 2023

Giovedì 30 novembre 2023. Piccolo Teatro di Milano.  

Erano le 9:40 e ci trovavamo infreddoliti davanti all’ingresso, sapendo poco o niente su quello che ci avrebbero fatto fare. Ci era stato anticipato dai nostri docenti che sarebbe stato qualcosa sull’Antigone, famosa tragedia di Sofocle, ma nulla di più. Sarebbe stata una semplice rappresentazione teatrale? Oppure saremmo diventati noi degli attori?  

Entrammo in una stanza piccola, ma accogliente, con una luce calda che ricadeva sul legno dei banchi disposti a gradoni, proprio come nelle università. In effetti c’era già qualcuno nell’aula, ma, almeno io, non vi prestai grande attenzione: pensavo fossero altre persone che dovevano seguire una lezione, così come noi. E invece no. Facevano tutte parte del gioco. Quello della recitazione. 

Ma non era una semplice rappresentazione teatrale con ruoli già assegnati e ben divisi: pubblico e attori. Gli attori erano tra di noi e noi tra di loro. Noi tutti eravamo sul palco con loro e loro nel pubblico insieme a noi. Iniziò a parlare un uomo, che poi si scoprì essere Creonte, lo zio di Antigone.

Per chi non conoscesse la trama, Antigone era sorella di Ismene, Eteocle e Polinice, ed era nata come loro dall’unione incestuosa tra Edipo e la madre di questo, Giocasta. A causa della scomparsa del padre, il potere della città di Tebe doveva essere equamente suddiviso tra i due fratelli, Eteocle e Polinice, che avrebbero regnato ad anni alterni. La tragedia nacque a causa del conflitto che si originò tra i due; e ad Antigone toccò assistere al sanguinoso conflitto durante il quale Eteocle e Polinice si uccisero a vicenda. Quell’anno il sovrano di Tebe in carica era Eteocle, tanto che Creonte, lo zio, dopo aver preso le redini della città, decise che dovesse essere sepolto con ogni onore. Sorte ben diversa toccò a Polinice, il cui corpo non meritava di essere seppellito. Polinice era infatti colui che, una volta radunati alcuni soldati stranieri, aveva dichiarato guerra al fratello, per non aver rispettato la scadenza della carica di regnante: Eteocle in quel momento rappresentava però la città di Tebe, mentre Polinice aveva dichiarato guerra ai tebani. 

Antigone andò contro il decreto emanato dallo zio, cospargendo con un simbolico atto di sepoltura il corpo del fratello con della polvere. Creonte, inflessibile, la murò viva. Ne seguì la rovina di tutto il casato: Antigone si impiccò; il suo promesso sposo e figlio di Creonte, Emone, si uccise; la madre di Emone, distrutta dal dolore, morì e, a Creonte, responsabile di questo massacro, non rimase che meditare tristemente sul proprio fallimento. 

Tutto questo, nella sala del Piccolo, venne rappresentato con attori che si muovevano e parlavano vicino a noi, tra di noi. Nonostante la trama coincidesse con l’originale, il contesto nel quale la stessa si sviluppava non era più la città di Tebe, bensì una semplice aula scolastica durante una lezione del severissimo professor Creonte. Anche noi facevamo parte degli studenti e in quanto tali in un certo senso eravamo chiamati a partecipare alla rappresentazione teatrale. Passavamo agli attori degli oggetti, li aiutavamo nelle loro battute ed eseguivamo le nostre, rispondendo in coro. 

Il meglio arrivò alla fine quando ci diedero la possibilità di scegliere il finale: “uccidere o non uccidere Antigone?” ci chiese Creonte. Passammo venti minuti a scervellarci per trovare una motivazione per salvare Antigone che potesse persuadere Creonte, che non potesse creare disordini sociali o mettere in pericolo lo stesso Creonte: “perché l’uomo gode del diritto di natura” disse un ragazzo; “perché è evidentemente ingiusta la sua morte” venne detto da un altro. Sì, ma erano veramente motivazioni valide e comprensibili per il popolo di Tebe? E se poi ognuno si fosse appellato a queste, continuando a commettere delitti, che ne sarebbe stato dell’inviolabilità delle leggi? 

La motivazione valida non arrivò; Creonte venne implorato di non ucciderla, ma la sentenza venne comunque eseguita. Finì così? No. Che ne era stato dell’invisibile Ismene, la silenziosa sorella di Antigone? In effetti, la tragedia si chiama “Antigone”, non “Ismene”, ma lei era comunque lì, aveva assistito a tutto. Creonte, ormai uscito dalla parte, ci aiutò a scovare quale era stato il ruolo del personaggio durante tutta la rappresentazione (ruolo che si dimostrò non essere meno centrale degli altri) e quali importantissimi temi potesse portare a galla un personaggio apparentemente secondario: temi capaci di intercettare e interrogare la nostra quotidianità, riguardanti il rapporto con l’autorità costituita, il rispetto delle leggi, l’obbedienza o la ribellione, il giusto e l’ingiusto. 

Decisamente una giornata da ricordare. 

4BLS e 4ALS