Nel 1882, il dottore tedesco Robert Koch (considerato uno dei pionieri della microbiologia e della batteriologia) scoprì l’origine batterica della tubercolosi. Fu una scoperta che rivoluzionò la medicina moderna, e poco meno di vent’anni dopo vinse perfino il premio Nobel per la medicina; eppure, la prova scientifica dell’origine della malattia non fu abbastanza per mettere a tacere credenze popolari e superstizioni ad essa legate.
Nel XIX secolo negli stati di Rhode Island, Connecticut, Vermont e New England si era infatti diffuso a macchia d’olio un violento panico riguardo allo scoppio della tubercolosi. La tubercolosi è una malattia infettiva, che fino alla metà del XX secolo era considerata estremamente grave: una diagnosi di tubercolosi significava solo morte certa. Se una persona, per disgrazia, si fosse ammalata di tubercolosi, avrebbe presumibilmente portato con sé la famiglia intera.
La tubercolosi era chiamata consunzione (dal lat. consumptio, -onis, der. di consumĕre “consumare”) o tisi (dal lat. phthisis, dal gr. phthísis “consunzione”, “mi consumo”), perché la malattia sembrava consumare il corpo dell’infetto: rendeva le persone deboli, pallide e spaventosamente magre.
É curioso anche notare come la malattia sia stata romanticizzata nel corso della sua diffusione, perché accentuava diversi aspetti connessi a diffusi standard di bellezza, come la magrezza, la pelle pallida, le labbra rosse, gli occhi lucidi e dilatati.
Proprio la facile trasmissione della malattia contribuì a diffondere tra la gente la convinzione che il contagio fosse causato dal defunto stesso, che, una volta uscito dalla propria tomba, avrebbe prosciugato la vita dei suoi familiari nel sonno. Quest’idea era diffusa soprattutto nel New England e in Europa.
I vampiri sono oggi considerati personaggi di fantasia, che dominano libri e film, ma nell’epoca vittoriana (1837-1901) erano presenze costanti, da temere come la morte stessa. Erano considerati pericolosi tanto che, per non diventare loro vittime, i cittadini arrivavano a compiere le cosiddette “riesumazioni terapeutiche”, che consistevano nel dissotterrare i corpi di persone morte da tempo per tubercolosi e far loro vere e proprie autopsie.
Il caso più famoso è quello della famiglia Brown. I membri della famiglia di George e Mary Eliza Brown iniziarono ad ammalarsi di tubercolosi negli ultimi decenni del XIX secolo. La madre Mary Eliza fu la prima a morire, seguita dalla figlia maggiore Mary Olive nel 1886. Quando nel 1891 anche i figli Mercy ed Edwin contraggono la malattia, la comunità di Exeter inizia a sospettare che nella famiglia ci sia un vampiro. Furono molti i tentativi fatti per cercare di salvare Mercy, come vari rituali per scacciare i presunti spiriti che la perseguitavano, ma la morte fu inevitabile e la ragazza morì nel 1892 all’età di diciannove anni. George Brown, anche se scettico, fu convinto a dare i permessi necessari per riesumare i corpi della famiglia in quello stesso anno per salvare il figlio, Edwin, che era malato. Si pensava che un vampiro lo stesse prosciugando.
Due mesi dopo la morte di Mercy, nel cimitero di Exeter, nel Rhode Island, alcuni abitanti del villaggio – tra cui il medico Harold Metcalf – hanno dunque come obiettivo quello di dissotterrare la famiglia Brown.
La prima ad essere risvegliata fu la madre Mary Eliza, morta otto anni prima. Il corpo fu ritrovato, secondo i presenti, parzialmente mummificato. La seconda fu la figlia maggiore Mary Olive, di cui restavano però solo ossa e capelli.
Quando l’ultima figlia, Mercy, venne dissepolta, il corpo fu ritrovato in uno stato che molti considerarono “stranamente intatto”: aveva la bocca insanguinata, lo stomaco gonfio e capelli e unghie apparivano chiaramente cresciuti. La condizione del corpo di Mercy, secondo il medico, era invece di normale decomposizione. Mercy infatti era deceduta solo due mesi prima: la pelle, seccandosi, fa apparire capelli, unghie e denti più lunghi; la decomposizione degli organi interni porta gas nella gabbia toracica, che si gonfia e porta i liquidi all’esterno dall’esofago. Il medico estrasse fegato e cuore dal corpo, e quando incise quest’ultimo, accadde l’inaspettato: uscì del sangue. Il dottor Metcalf sapeva che la presenza di sangue coagulato nel cuore è caratteristico di quella fase di decomposizione; infatti, Harold Metcalf non era lì per trovare prove di vampirismo, ma per sfatare una leggenda che aveva dominato il Rhode Island per decenni. Metcalf analizzò inoltre i polmoni, trovando i danni tipici della tubercolosi.
Le rassicurazioni del dottore non furono però sufficienti per soddisfare i cittadini di Exeter; per loro, il corpo fu la prova del vampirismo di Mercy Brown.
Il cuore e il fegato di Mercy furono bruciati, nella speranza che la sua distruzione potesse salvare il figlio Edwin, ma ovviamente non servì e il ragazzo morì solo un mese dopo.
La credenza popolare nei vampiri non era causata dall’ignoranza, ma dalla disperazione. Davanti a una malattia incurabile e sconosciuta come la tubercolosi, la gente continuava a cercare un nemico per proteggersi dalla paura e dall’incertezza, da un timore che è completamente umano: era molto più semplice volere la distruzione di un mostro contro cui combattere, piuttosto che credere in quel male contagioso e aspettare, rassegnati, la propria morte.
Flora Ceschel