la mia amata nostalgia

Archivio articoli

26 maggio 2020

-un pensiero per coloro che amo-

Mi sono sempre considerato una persona profondamente nostalgica, di quelle che amano crogiolarsi nel ricordo di una felicità che non potrà più tornare, che, con un finissimo e pungente masochismo, lasciano che ogni spicchio di realtà diventi uno specchio del passato.

E non che io non sia un ragazzo felice. Tutt’altro! Ho una splendida famiglia, degli amici fenomenali, una ragazza spettacolare e persino un gatto. E ci tengo a sottolineare anche la presenza del mio adorabile gatto, perché, potrebbe sembrare banale, ma quanti in questo periodo di quarantena avrebbero voluto un animale domestico? Ecco, io ho anche quello, quindi di certo non posso lamentarmi.

E infatti non mi lamento.

Il mio problema è che ho nel cuore una sorta di macchina fotografica, uno strumento sofisticato che, attraverso i miei due obiettivi color nocciola, cattura un momento di felicità e lo invia subito al cuore; qui viene perfezionato da suoni, voci, profumi. Purtroppo, però, io non ho un archivio, non ho cassetti in cui infilare queste foto, che, così, rimangono sparse sul tavolo della mia anima e, ad ogni minimo sussulto, si mostrano e riprendono vita. E questo mi riporta indietro con la mente, mi invita a ricreare nella realtà quella felicità che avevo provato in quel momento. A questo punto, il tentativo di rivivere il passato, il desiderio di sfruttare ancora meglio quell’attimo fuggito, si fonde con la rassegnazione razionale dell’impossibilità del mio sforzo, entrando in una sorta di conflitto armonioso, un equilibrio caotico, incoerente e inconsistente.

È così che nasce la mia malinconia.

A maggio, poi, mi sembra quasi che sia più forte che mai. Credo sia dovuto al fatto che la mia vita si carichi in ogni momento di profumi, di odori, che a volte hanno le vere e proprie sembianze di ricordi e persone.

Le rose di mia nonna, ad esempio, esplodono in un fucsia affascinante, sbocciando poco alla volta, come a voler attendere l’attimo giusto, il sole perfetto, in un amabile gesto di vanità. Il caldo sole ha cancellato in loro il ricordo del freddo inverno, facendo loro credere di rivivere la stessa vita un’altra volta ancora. E così, nel guardarle, rivedo anche io l’ombra di me, rivedo anche io un piccolo bambino, dallo sguardo vispo e i capelli dorati che sfreccia avanti e indietro in sella alla sua biciclettina rossa e bianca, giocando da solo al buono e al cattivo. Rosa, poi, è anche il nome di mia mamma e così il profumo delle rose diventa un poco acre, mischiato a quello del ferro e della fatica dei vestiti di un’instancabile operaia.

Il vento, poi, che nei giorni soleggiati soffia ozioso, quasi danzando tra le rade nubi del cielo, trasporta con sé il profumo dei vicini boschi, dell’acqua stagnante, dei prati in fiore. Con una delle sue folate mi abbraccia e mi trascina con sé, conducendomi tra quelle fronde, a camminare al fianco di una mia cara amica. E così mi sembra quasi di sentire la meravigliosa risata di lei, Irene, tenera e a volte strana, simile ad una delle farfalle di quel bosco, bella e fragile.
Ma il vento porta con sé anche i suoni: dolci, improvvisi, piacevoli o striduli. E così mi pare di risentire anche la voce di Martina, squillante e rapida come un fiume in piena, quella di Giulia, altalenante e sempre carica di emozioni, che siano lamentele o elogi, e quella di Eleonora, geniale nella sua pacata semplicità. I loro timbri si fondono insieme, creano un’ammaliante sinfonia che parla di racconti e di amicizia.

E poi il sole, dai raggi di tenero fuoco, profuma d’estate precoce, di scottature future e passate, del cloro delle piscine del paese vicino al mio. Mi sembra di sentire un fiume di bambini, cascate di voci sovrapposte e disarmoniche, sento il calore delle braccia di due miei amici: lui, Nicolas, bello, con i ricci che esplodono fieri, lei, Chiara, quasi a disagio in un costume che le sta benissimo.

Li sento così vicini che il sole diventa ancora più caldo, parlano di cose stupide, mi coinvolgono e mi fanno ridere. Sono l’alba della mia estate passata.

La pioggia di Maggio, poi, quella che tinge il cielo di grigio, batte sull’asfalto suonando ripetitiva, producendo una melodia straniera, una canzone che parla di una città inglese, racchiusa sotto la sua volta cupa, ravvivata da voci che ridono serene. Quella di Chiara, che scatta foto bellissime, con il flash della fotocamera del suo telefono che pare un raggio di luna, e quella di Erica, che fa facce buffe davanti a lei; le loro voci si sovrappongono, le risate contagiano gli altri. Sugli scalini di una scuola, poi, il gruppo di compagni, di amici, si stringe per fare una foto, mentre una professoressa li chiama uno a uno, ridendo con loro, e il suo sorriso brilla di una giovinezza ritrovata. La pioggia, a volte, diviene temporale e i lampi squarciano il cielo, i tuoni rombano assordanti. Il loro cupo lamento, accompagnato dallo scroscio dell’acqua, mi ricorda il motore di Junior, la macchinina di Barbara, profumata di un arbre magique strano, forse troppo intenso. Nel rumore della pioggia sento la sua voce, immagino che legga una delle sue poesie. L’atmosfera diviene surreale.

Al mattino, poi, quando il cielo ha finito le sue lacrime, l’aria profuma di pini e di erba bagnata, di una vacanza in montagna tremenda e bellissima, di un’amicizia nata sulle rocce dure e sui pendii scoscesi. E subito risento gli strilli di Alessia, una fotografa dallo scatto facile e dall’imprecazione pure, bella in ogni sua sfaccettatura. Sopraggiungono, poi, i discorsi pungenti e sinceri di Noemi, oltre le righe e le convenzioni, una regina che non necessita re. E, infine, nel silenzio di un sorriso, pronta ad esplodere in un’inaspettata frivolezza, vi é Elena, un cigno dalle ali di musica.

Ritrovo i ricordi persino nel gelato che trangugio direttamente dalla vaschetta in uno dei miei sereni pomeriggi. Ha il sapore di una corsa sotto la calura estiva, con Marta, pessima atleta, che tiene a stento il mio passo. Il gusto alla fragola ha la stessa freschezza di Monica, quello alla nocciola è buono come Davide, quello al cioccolato fondente è un pizzico amaro, come Giorgia. Affondo il cucchiaio nella crema, dolcissima come Veronica, poi nel pistacchio, insolito come Rebecca, ed infine il caffè, intenso come Gabriele. Ogni boccone è un sorriso, un abbraccio, una gelida e irresistibile consapevolezza della loro unicità, degli infiniti ricordi che sono racchiusi nei loro stupendi occhi.

Sul calar del giorno, nel tramonto della splendida sera, i miei occhi si perdono tra il giallo e il rosso del cielo. Il giallo è per me il colore dell’amicizia, della gioia, della luce. E così nella mia mente prende forma il volto di Giorgia, la mia, di luce, la sorella della mia anima. Nel mio cuore risuona la sua voce e un sorriso esplode sul mio volto. Nemmeno il cielo ricorda più tutti i momenti passati con lei.
Il rosso, è risaputo, è il colore dell’amore. Eppure il rosso del tramonto, quella dolce sfumatura di vermiglio e bordeaux, non è il solito rosso. È un colore diverso, insolito, raro, di quelli che appiano una sola volta, unici nel loro genere. Ed è così che vedo l’ultimo volto della giornata, quello di Arianna, che mi accompagna, come le stelle, per tutta la notte.

Ed ecco perché io sono una persona così nostalgica.

Perché sono circondato da persone stupende, da sorrisi che catturano attimi e che si imprimono nella mia mente.

Sono nostalgico perché ho la fortuna di temere di dimenticare anche il più piccolo frammento di passato vissuto con queste persone, di scordare le loro parole, la loro risata. Anche quando, magari, qualcuno di loro non sarà più parte della mia vita.

Perché in fondo io non sono nostalgico, io sono soltanto amato.

“Alla mia famiglia, alla mia ragazza, ai miei amici, anche tutti quelli che, per motivi di spazio, non ho potuto citare, dico solo una cosa: GRAZIE”

Quarantenamente vostro, Grisi Luca