
Una studentessa del quinto anno entra in dialogo con una riflessione sulla felicità del filosofo Salvatore Natoli, sviluppata nel suo saggio “Sulle modalità del sentirsi felici” (Feltrinelli, Milano 2004). Ecco il testo del filosofo
Non ci vuole molto per essere felici. Questo non significa per nulla che la felicità è una condizione facilmente raggiungibile per gli uomini, ma significa solo che non è affatto necessario che gli ingredienti, o meglio i contenuti e i motivi per cui si è felici, debbano essere inusuali, abitualmente indisponibili, in una parola, rari. In breve, la felicità può essere ritenuta eccezionale come lo stato della mente, ma non è detto che debba essere eccezionale, non abbordabile, e comunque prezioso, ciò per cui ci si sente felici […]. Si può essere a vario titolo felici e molti possono essere gli oggetti o gli argomenti che danno felicità, tuttavia, qualunque sia il contenuto che l’occasiona, si ha felicità se la mente è interamente occupata dall’oggetto verso cui muove e l’oggetto si rende congruo a tale attenzione e vi inerisce.
[…] Chi è felice non si interroga sulla sua felicità, ma semplicemente la vive. Ora, vivere la felicità equivale a inglobale per intero nel proprio vissuto ciò che in un determinato momento ci rende felici. Se ciò è vero, allora si può dire che non esistono in assoluto cose, persone, in generale beni che hanno la prerogativa di rendere felici gli uomini, ma che la loro felicità dipende dal modo in cui essi si dispongono verso le cose. L’enigma, e forse anche la stessa occasionalità della felicità, risiedono in gran parte nell’indeterminatezza e nell’indeterminabilità di questa disposizione che molto spesso viene a costituirsi negli individui indipendentemente dalla loro volontà. È infatti noto che uomini che hanno a disposizione cose rare e preziose non riescono a essere felici, e, al contrario, vi sono uomini che trovano motivi di felicità in ciò che è abbordabile da tutti. È però anche vero […] che ciò che è abbordabile da tutti non è per tutti ragione di felicità, anzi per molti è solo motivo di noia. […]
In questo senso, si può allora dire che non esistono cose o persone che possiedono in modo inalienabile la prerogativa di dare la felicità, ma, al contrario, la felicità è il risultato di una combinatoria improbabile tra le disposizioni congiunturali – o almeno tali per noi – del soggetto e l’altrettanto congiunturale e momentanea capacità che gli oggetti hanno di attivarle. Quando gli uomini dicono che la felicità è fatta di istanti intendono non solo le grandi felicità, ma anche questa felicità frammentaria, forse tanto più amata quanto meno desiderata, che irrompe e svanisce, ma lascia in noi una sensazione quasi di gratitudine per qualcosa che ci è stato donato senza neppure essere stato richiesto e si fissa nella soavità di un ricordo, come un’eternità. […]
Felicità in frammenti: una soddisfazione per molti versi involontaria, ma comunque atta a riconciliare gli uomini con la vita, al di là delle sue lacerazioni. Si tratta di situazioni psicologiche, magari estemporanee però altamente istruttive per portarci dentro alla natura specifica dell’affetto, per poter tratteggiare una sorta di fisiologia della felicità.
La felicità, considerata sotto il profilo emotivo-psicologico, la si ha quando il soggetto entra in uno stato di immedesimazione con quell’oggetto da cui in quel certo momento trae soddisfazione.
Ed ecco la “risposta” della nostra studentessa
La felicità è un sentimento che assume un ruolo fondamentale nell’esistenza di ogni individuo. Se le si dovesse attribuire una funzione specifica nella vita dell’uomo, sarebbe immediato definirla come il motore che guida le azioni individuali. Ognuno agisce, magari inconsapevolmente, spinto dalla necessità di accedere alla propria felicità, attraverso la soddisfazione dei bisogni o il raggiungimento degli obiettivi.
Quello che spesso al giorno d’oggi impedisce di sperimentare frequentemente questo sentimento è la concezione che si è creata nella società attuale del fenomeno della felicità, la quale differisce di gran lunga dalla sua vera natura. A mio parere la felicità è infatti il prodotto delle azioni che vengono consapevolmente portate avanti giorno dopo giorno. Questo sentimento ha origine dalla cura che ogni persona applica alle azioni che caratterizzano la sua quotidianità.
Nel corso del suo saggio sull’esistenza della felicità, Salvatore Natoli afferma che essa dipende dalla momentanea capacità che gli oggetti hanno di attivare delle precise disposizioni nella mente umana, le quali permettono all’uomo di sperimentare una sensazione di gratitudine e soddisfazione. Tale linea di pensiero incarna perfettamente credenze e dinamiche della società di cui essa è frutto; dinamiche che io non condivido.
Contrariamente a quanto afferma Natoli, infatti, ritengo che la chiave d’accesso alla felicità sia totalmente in possesso di ogni individuo, il quale ha un ruolo attivo nello sviluppo delle disposizioni che la generano. Risulta indubbiamente più semplice convincersi che la felicità dipenda da un’involontaria concatenazione di eventi che si verificano senza che l’uomo possa avere un’influenza o un ruolo decisivo su di essi. Tale tesi fornisce una chiara giustificazione alla condizione di infelicità che caratterizza il tempo presente; allo stesso tempo priva l’uomo di qualsiasi responsabilità in merito a tale condizione di cui egli si sente prigioniero. L’illusione delle “grandi felicità” contribuisce ad alimentare questo fenomeno di attesa perpetua e passività nell’esistenza dell’uomo.
Le “grandi felicità” però non giungono da sé, senza che l’uomo metta a frutto le proprie capacità e risorse per ottenerle. L’accettazione della centralità della propria azione e del proprio impegno per accedere alla felicità individuale comporta invece la consapevolezza di dover procedere con fatica e sacrifici per poter condurre un’esistenza felice. Questo sentimento a cui tutti ambiscono è inesistente in modo spontaneo e pronto all’uso in natura. Analogamente a un vaso di fiori, è indispensabile il processo di cura e attenzione costante e quotidiano perché dai primi semi possano nascere germogli sani e colorati. In una società basata sulla rapidità e sull’immediatezza dei fenomeni e dei rapporti, si sono persi di vista i piccoli gesti e dettagli che, se correttamente valorizzati, permettono l’accesso alla felicità autentica. Un semplice esempio può essere l’attenzione nei confronti delle relazioni sociali. Spesso si tende a portare avanti una conoscenza superficiale delle persone che fanno parte della vita di ognuno; al contrario l’interazione con persone distanti mediante l’utilizzo di mezzi di comunicazione di massa viene largamente valorizzata.
La felicità si crea per mano di una conoscenza approfondita di ciò che caratterizza il quotidiano, attribuendogli cura e valore con costanza e impegno. Per poter accedere a questo sentimento non occorre ricorrere a grandi progetti irraggiungibili o rifugiarsi nell’attesa di qualcosa che forse non avverrà mai, è invece necessario scendere a patti con la fatica e l’impegno da cui esso non può prescindere.
Beatrice Bonaiti