il buio non è solo oltre la siepe

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23 gennaio 2023

Maycomb, Alabama, 1930: l’avvocato Atticus Finch, vedovo e padre di due bambini estremamente perspicaci, viene incaricato della difesa di un uomo afroamericano, Tom Robinson, accusato di aver violentato una ragazza bianca. Il compito di dimostrarne l’innocenza si rivela complesso ed attira sulla famiglia Finch la disapprovazione generale della cittadina di Maycomb, in cui il pregiudizio razzista è ampiamente diffuso. Sebbene tutte le prove del caso siano a favore di Tom e di Atticus, la dura opinione della contea condiziona fortemente l’esito del processo e rende vano ogni sforzo. Ma il segreto della forza di questa storia risiede nella sua voce narrante. A raccontare le vicende della cittadina retrograda è la figlia di Atticus, Scout. La bambina, grazie ad un’intelligenza fuori dal comune, si fa voce critica di una società che vorrebbe imporle i propri ideali e stili di vita, di denuncia del razzismo che vive in tutti i cittadini della contea e di sostegno della battaglia del padre al fine di abbattere qualsiasi stereotipo che possa mettere a repentaglio il processo, e soprattutto la vita di Tom Robinson. 

“Il buio oltre la siepe” è un romanzo che a distanza di sessant’annidalla sua prima pubblicazione ha ancora il potere di stregare ed appassionare i suoi lettori, mettendo in luce un tema che si rivela assai attuale. Il suo titolo, a prima vista innocuo, svela una grande verità. Nel corso della storia, noi uomini abbiamo sempre mostrato inquietudine per tutto ciò che non conosciamo, che cipare oscuro, diverso. E questo spesso ha fatto nascere in noi il sospetto di un pericolo incombente, che ci ha spinto a tenerci lontani, a stare in guardia. Un’idea di minaccia che ci ha privato del coraggio di uscire dalla nostra siepe per scoprire che il buio che ci circonda può essere luce.                                                                                                                                                                     

Questa ignoranza, nel senso proprio del termine, è un male terribile che tiene in ostaggio le menti delle sue vittime e che le distoglie dal senso comune di umanità. Un male che certamente non ha cessato di esistere. Sebbene negli ultimi decenni la situazione sia migliorata, la piaga del razzismo è ancora radicata negli Stati Uniti e in tutti i Paesi del mondo, persino all’interno di quelle istituzioni democratiche in cui uguaglianza e giustizia dovrebbero essere all’ordine del giorno. Abbiamo la prova di quanto questo fenomeno sia diffuso attraverso i mezzi di comunicazione, che ci rivelano delle verità allarmanti. A distanza di oltre un secolo governi e corporazioni si mostrano ciechi di fronte alle atrocità che il razzismo comporta in tutto il mondo e, frequentemente, ne sono gli artefici. 

Quasi tre anni fa, il 25 maggio del 2020, abbiamo avuto una prova di questa abominevole realtà: la morte di George Floyd, un uomo afroamericano ucciso dalla polizia di Minneapolis, Minnesota. Sospettato di aver utilizzato una banconota contraffatta, è stato minacciato con una pistola a bordo della sua auto, arrestato e costretto a rimanere a terra, a faccia in giù. Nonostante avesse avvisato gli agenti di essere claustrofobico e di avere problemi di respirazione, il poliziotto responsabile dell’omicidio ha appoggiato il ginocchio sul suo collo causando la sua morte ed ignorando le sue suppliche. All’arrivo dei paramedici il poliziotto non si era ancora spostato. L’evento ha suscitato indignazione generale, proteste, memoriali costruiti al fine di mantenere vivo il ricordo di George Floyd, l’uomo che ha perso la vita perché non era bianco. La sua storia ha messo i brividi e ha portato ad una generale perdita di fiducia nei confronti dell’umanità. La cosa più tremenda, però, è che eventi simili accadono in ogni angolo del nostro pianeta, in ogni istante e in ogni forma, e sebbene i progressi scientifici e tecnologici abbiano fatto salti da gigante, la società in cui viviamo non è troppo diversa da quella che viene narrata nel nostro romanzo. 

Altri dati allarmanti arrivano dalla realtà delle carceri. Le statistiche e gli studi dimostrano che gli uomini neri hanno unaprobabilità 7,5 volte maggiore di essere condannati ingiustamente per omicidio rispetto ai bianchi ed il rischio aumenta maggiormente se la presunta vittima è bianca. Questo rapporto è stato condotto per una fascia di tempo che parte dal 1989 e arriva ai nostri giorni, rivelando l’attualità del problema. I dati più spaventosi, però, riguardano le condanne alla pena capitale negli Stati Uniti, in cui il numero di uomini neri si rivela spaventosamente superiore a quello di uomini bianchi. E come ben sappiamo, la storia si è macchiata molto spesso delle morti di innocenti, accusati di reati a cui non hanno mai preso parte. Un evento così comune nella storia del Paese da ispirare romanzi e film, tra cui la famosissima opera di Stephen King “Il miglio verde”. E se leggendo il libro o guardando la magnifica interpretazione di Tom Hanks vi è scappata qualche lacrima, pensate che quanto narrato al suo interno è stata, ed è tutt’oggi,quotidianità

George Stinney, Billie Allen, Tom Egbuna Ford, Anthony Carey, Thomas Pearson, Bonnie Erwin: questi sono solo alcuni dei nomidei numerosissimi uomini neri condannati al braccio della morte nonostante la mancanza di prove e testimonianze. Nomi che meriterebbero di essere studiati uno ad uno, vicende individuali che dovrebbero essere lette al fine di mantenere viva la loro memoria. 

Se siete giunti fino a questo punto, vorrei invitarvi calorosamente a cercare questi nomi e a leggere la loro storia, di come alcune delle loro vite siano state risparmiate dopo anni di prigionia e di come altre siano terminate ingiustamente, perché ognuno di loro merita di essere raccontato. Ma soprattutto vi invito a riflettere su tutti questi dati spaventosi e a tener viva nei vostri cuori quell’umanità che ancora può definirsi tale. Perché il vero buio che si cela oltre la siepe non è la diversità al di fuori di noi, è l’odio che ci divora all’interno.

Carolina Maggi