Gli incendi in Australia, il terremoto magnitudo 6,5 in Porto Rico, i Golden Globe e ovviamente il famigerato Corona virus. Si sono visti grandi titoli da prima pagina per queste tematiche, eppure molte notizie importati non arrivano mai alle orecchie della gente. Forse per convenienza, o forse per impotenza, tante informazioni non vengono divulgate in maniera appropriata, benché siano più che degne d’essere conosciute.
Un argomento particolarmente impegnativo, ma poco trattato, è quello relativo ai “nuovi” campi di concentramento. Ebbene sì, nel 2020 ci sono ancora campi di concentramento perfettamente funzionanti e operativi e si trovano nella Nord Corea. Il principale di questi è quello di Yodok, a 110 km a nordest di Pyongyang.
In quest’area sono detenuti coloro che si sono macchiati di crimini considerati mediamente gravi o molto gravi: di fatto vi vengono internati gli oppositori del regime e del governo, oltre a Cristiani e tutti coloro che hanno contatti o legami con questi sovversivi.
In Corea vige inoltre la punizione delle 3 generazioni, cioè la persecuzione di un reato che dura per altre due generazioni nella famiglia dell’individuo che ha commesso il crimine. Ciò significa che se un nonno è ritenuto colpevole di aver violato la legge e deve scontare la sua pena, allora anche l’intera famiglia, compreso il figlio e il nipote, dovranno pagare per il misfatto commesso. Questi campi sono quindi pieni di innocenti, la cui unica colpa è quella di essere imparentati con una persona accusata di un crimine insurrezionale: basti pensare che circa il 70% dei detenuti è composto da famiglie.
La struttura si divide in una zona a controllo totale, i cui detenuti non verranno mai rilasciati, e una zona “rivoluzionaria”, i cui detenuti invece potrebbero essere eventualmente prosciolti.
Le condizioni di vita sono disumane: ci sono fino a 40 detenuti stipati in uno stanzone di 50 metri quadri (paragonabile a due classi di studenti collocati in una sola aula), i pasti sono perlopiù insipide porzioni di cereali bolliti e sono sempre insufficienti, tanto che molti muoiono di malnutrizione e denutrizione. Per i prigionieri rivoltosi o poco produttivi le razioni vengono ulteriormente ridotte o eliminate e in tanti si riducono a mangiare gli animali e gli insetti che riescono a trovare (ratti, rane,vermi…) e a raccogliere pezzi di cibo non digeriti dalle feci degli animali.
I detenuti muoiono anche per congelamento o assideramento, specie in inverno quando le temperature raggiungono i -20°.
In più, è pressoché impossibile lavarsi o lavare i propri indumenti e i servizi igienici sono pochi (1 per 200 individui) e sempre sudici. Questo, addizionato all’assenza di assistenza medica, è la causa di parecchie morti per malattia come polmonite, tubercolosi, pellagra e altre.
Ma che cosa si svolge nel campo? I detenuti lavorano 7 giorni su 7 per estrarre gesso e oro da cave lì vicine, ma anche in fucine e tessiture, campi e boschi da taglio. I prodotti fabbricati sono di alta qualità e molti spettano ai generali di alto rango di Pyonyang.
Nessuno è esentato dalle attività, quindi anche i bambini svolgono lavori pesanti e alla fine della giornata, dalle 21.00 alle 23:00, tutti i prigionieri devono seguire i corsi di “educazione ideologica”, durante i quali i carcerati vengono ulteriormente indottrinati al totale rispetto e sottomissione al regime.
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Sono anche previste severe punizioni per coloro che non svolgono il lavoro, non rispettano gli orari e le regole, o semplicemente per quelli che hanno la sfortuna di passare davanti a una guardia annoiata, che ha il desiderio di sfogare la sua frustrazione su un qualsiasi prigioniero. Sono altresì comuni torture, esecuzioni e abusi sessuali.
Secondo il Professor Kim Seok-hyang, dell’Università di Ewha Women, non c’è alcun segno che i campi verranno chiusi in un tempo prossimo.
Il Professor Kim Seok-hyang afferma “… penso che non ci sia possibilità per un campo di prigionia politico di essere smantellato finché persisterà il regime politico della Nord Corea”.
Non che non ci siano state polemiche e domande di cessazione, diverse organizzazioni hanno infatti avanzato istanze di chiusura. La comunità internazionale ha richiesto un’investigazione interna, ma le autorità Nord Coreane hanno rigettato ogni lamentela e supplica, hanno piuttosto esternato critiche secondo le quali la comunità internazionale sta cercando di manipolare l’opinione pubblica per isolare la Nord Corea.
Radio Free Asia ha condotto un sondaggio per verificare quanto i disertori Nord Coreani, che di solito sono i più informati riguardo alla vita interna del loro paese, siano a conoscenza dei campi e della vita al loro interno. Il Dr. Mi-nyeo Shin di Saejowi (organizzazione no-profit che assiste i rifugiati Nord Coreani) ha dichiarato che l’83% dei partecipanti al sondaggio sapeva dell’esistenza dei campi, ma la maggior parte ignorava cosa vi accadesse.
Tuttavia, nonostante la comunità internazionale abbia la piena consapevolezza della situazione, è impotente di fronte all’impenetrabile e impassibile governo della Nord Corea. La discussione su questa tematica è sicuramente insufficiente, gli sforzi fatti non bastano e bisogna oltretutto ricordare che luoghi simili sono presenti anche in altre parti del mondo come Libia e Cina, dove la situazione è altrettanto critica.
Durante la celebre Giornata della memoria non si discute quasi mai di questo argomento, forse perché si preferisce fare orecchie da mercante e fingere che i campi di concentramento siano un orrore appartenente al passato e relativo soltanto al genocidio del popolo ebraico.
Specialmente durante momenti difficili come quello che la comunità sta vivendo in queste settimane, essendo sottoposta a restrizioni e privazioni, è importante rammentare che in ogni momento ci sono persone al mondo che stanno vivendo le atrocità più indicibili e che, a differenza nostra, non hanno alcuna speranza di un futuro più luminoso, ma solo l’aspettativa di una morte
dolorosa e solitaria.
Eleonora Marsiletti
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