Con il termine riscaldamento globale s’intende un fenomeno di incremento generale della temperatura terrestre e, nonostante si tratti di un fenomeno naturale, è l’azione dell’uomo a influire negativamente su di esso, il cui scopo è quello di mantenere la temperatura terrestre adatta alla vita.
Con l’aumento delle attività industriali che utilizzano l’energia termica originata dalla combustione di carbone, petrolio e gas naturale, vengono emessi nell’atmosfera anidride carbonica e altri gas serra. E di conseguenza, aumentando la concentrazione di questi gas, si fortifica l’effetto serra facendo così salire le temperature globali.
Solo negli ultimi decenni questo fenomeno ha iniziato ad essere considerato una minaccia globale, nonostante i numerosi studi scientifici attestino le problematiche derivanti da quest’ultimo già da tempo. Infatti, solo grazie ai valori di gas serra riscontrati nel 1990, i governi hanno deciso di muoversi stipulando negoziati e accordi internazionali periodici che hanno avuto come obiettivo la definizione dei limiti alle emissioni di gas serra da parte dei Paesi firmatari.
Gli accordi più importanti sono: il Protocollo di Kyoto, l’Accordo storico di Parigi – COP 21 e la Conferenza ONU sul clima di Bonn 2017 – COP 23.
Anche se i governi si muovono per porsi degli obiettivi per limitare le emissioni, bisogna però constatare se davvero essi si impegnino a raggiungerli.
Gli scienziati hanno ribadito per anni gli obiettivi minimi da raggiungere: per evitare la catastrofe climatica bisogna evitare che l’aumento della temperatura sia superiore a 1,5° C. Ad affermarlo è anche il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, che si basa su migliaia di ricerche scientifiche per dimostrare che mantenere il riscaldamento globale entro 1,5° C è più sicuro rispetto ai 2° C, in termini di impatti climatici. L’aumento della temperatura globale a 2° C al di sopra dei livelli preindustriali, infatti, porterebbe a conseguenze devastanti, fra cui le seguenti: l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione di molti territori, la perdita di habitat e specie naturali e la diminuzione delle calotte glaciali. Tutto ciò avrebbe ripercussioni gravissime sulla nostra salute, sui mezzi di sussistenza, sulla sicurezza umana e sulla crescita economica.
Allo stato attuale e senza interventi incisivi, la soglia dei 1,5° C potrebbe essere superata in tempi brevissimi: appena 11 anni.
Dobbiamo perciò attuare un cambiamento significativo e rapido del modo in cui viviamo e delle nostre abitudini, per evitare le gravi conseguenze sopra elencate. Questo implica modificare il sistema con cui produciamo energia elettrica, privilegiando le fonti rinnovabili sopra ogni altra cosa, seguite dal modo in cui funziona la catena produttiva, il sistema dei trasporti, delle coltivazioni e la stessa organizzazione delle nostre città.
Più si aspetta, più diventerà difficile farlo in modo organizzato ed economicamente sostenibile… e sarà peggio per tutti.
È per questo che il messaggio di Greta Thunberg ha avuto una risonanza globale che ha coinvolto moltissimi giovani e li ha spronati ad agire e a far valere il diritto di avere un futuro sicuro e sano. Greta è una studentessa svedese di 16 anni che, dall’agosto del 2018, ha deciso di scioperare contro il cambiamento climatico, manifestando tutti i venerdì davanti alla sede del parlamento svedese. Questa iniziativa ha ispirato centinaia di migliaia di studenti da tutto il mondo a fare come lei, a scendere in piazza per chiedere ai governi azioni concrete contro il cambiamento climatico.
È nato quindi il movimento #FridaysForFuture, che consiste nel ritrovarsi per manifestare ogni venerdì nei luoghi più importanti della propria città per sensibilizzare sulla questione climatica. Questo movimento ha l’obiettivo di far sì che l’attenzione di cittadini e istituzioni si focalizzi sull’urgente problema climatico, per chiedere una riflessione seria sui vari stili di vita e per promuovere un modello di economia circolare.
Di manifestazione in manifestazione, l’idea è quella di arrivare preparati al 15 marzo, il giorno in cui è stato proclamato lo sciopero mondiale per il clima.
Agli studenti e studentesse di tutto il mondo si uniranno molti altri cittadini che ne condividono indignazione e obiettivi. La rabbia è soprattutto verso le classi dirigenti che, a spese del Pianeta e di chi ci abita, non dimostrano di prendere sul serio il problema in quanto non agiscono in modo concreto e utile. L’obiettivo è, dunque, mettere in primo piano nelle agende di governi nazionali e istituzioni internazionali l’emergenza climatica.
Ognuno di noi deve capire la vera urgenza del problema e cosa tutto ciò sta provocando al nostro Pianeta: aumento della siccità, eventi meteorologici fuori dall’ordinario e temperature fuori da ogni norma.
Tutto ciò sta mettendo in ginocchio diverse aree della Terra, costringendo alla migrazione forzata intere popolazioni che devono lasciare la loro casa. Nonostante l’emergenza sia alle porte, i governi non prendono posizioni decise e concrete, mettendo al primo posto l’economia del Paese piuttosto che il futuro dei propri cittadini.
Come giovani che dovranno vivere in un mondo che sarà la diretta conseguenza delle misure adottate o non adottate nei prossimi 12 anni, non staremo a guardare mentre questa battaglia si gioca sul nostro futuro e sulle vite della maggior parte della popolazione mondiale.
Per questo motivo dobbiamo agire, scendere in piazza e far valere i nostri diritti!
Ci mobilitiamo per chiedere ai governi un cambiamento radicale nel modello di sviluppo, che sia realmente sostenibile e senza disuguaglianze.
SE QUALCUNO FOSSE INTERESSATO, l’istituto Bachelet ha deciso di aderire allo sciopero partecipando alla manifestazione del Friday for Future di Lecco.
Gli studenti si ritroveranno direttamente in stazione a Lecco il giorno 15 marzo, da dove si recheranno insieme in Piazza XX settembre - luogo di partenza della manifestazione. Il corteo arriverà fino a Piazza Garibaldi.
Alice Cesana e Pietro Locci