“Sto pensando di partire. Sento che… no, ma chi me lo fa fare, non vorrei mai. Ma devo. Lo sento. Devo farlo per la mia vita. Lo so. Partirò. Vorrei andare in Irlanda, così. Lasciare qui tutto ciò a cui ancora non riesco a dare un perché, staccarmi da quello che mi fa male, riscoprirmi, crescere, vedere nuovi posti e nuove persone. Ho paura, ma voglio fidarmi di me. Voglio farlo, almeno questa volta”

Scrivo da uno dei tanti, disordinati tavolini di uno Starbucks nel centro di Dublino. Sono lontana quasi 2000 chilometri da casa, e se un anno fa mi avessero detto che ora sarei stata nella situazione in cui mi ritrovo, mai ci avrei creduto. Sono sempre stata quel tipo di persona che non vuole chiamare la pizzeria per prenotare la cena, che prova imbarazzo per situazioni totalmente insignificanti e che se ne sta nell’incertezza, piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno.
Quando a luglio finii il liceo, ancora non avevo le idee chiare su cosa avrei fatto da settembre in poi: non sapevo se iniziare l’università (e se sì, quale?) o se prendermi una pausa. Ad essere sincera non mi ricordo quando né come, ad un certo punto cominciai a prendere seriamente in considerazione l’idea di partire come ragazza alla pari e stare qualche mese lontana da casa e crescere un po’. Il 20 luglio scrivevo sul mio diario le parole che ho riportato poco fa: “Non vorrei mai, ma devo”. C’era un’energia che mi portava a scegliere di fare questa esperienza, che andava totalmente contro una parte consistente di me. Io non avevo nemmeno mai fatto la babysitter, né preso un aereo, né ero mai stata all’estero da sola (sono cresciuta nel mio paesino da 4000 abitanti senza mai vivere la vita di città)… Tutti questi fattori mi facevano paura, ma più pensavo al fatto che fosse una scelta difficile, più l’idea nella mia testa diventava reale. Sono sempre stata incline a mettermi in circostanze difficili da affrontare per sfida personale, e questa certamente lo era.
Una sera, a cena, papà mi parlò di un libro che stava leggendo. Era la storia di un uomo che nella sua vita aveva sempre scelto di mettersi in situazioni scomode, che andavano oltre la sua zona di comfort, per superarle e per crescere. La trovavo un’idea tanto affascinante quanto vera, sentivo che applicata nei giusti limiti -ovvio, non tanto da diventare masochismo- poteva farmi crescere molto, poteva farmi uscire da quella comoda casetta di cristallo in cui avevo sempre vissuto, fatta delle mie certezze, la mia routine, le mie persone, la mia famiglia, le mie abitudini. E così, tutte le difficoltà che questa esperienza mi presentava di fronte, pian piano prendevano la forma di ostacoli che, una volta affrontati e superati, mi avrebbero resa, in qualche modo, una persona almeno un poco migliore.
È stato per questo che, un po’ inconsapevolmente, presi quel volo da Malpensa il 13 gennaio. Ed è stato quel giorno che ho scoperto che prendere gli aerei non è per niente difficile. Dopo quasi 3 ore mi sono ritrovata a Dublino, in una famiglia (italiana tra l’altro, questa è una buffa parentesi, ma non ho tempo ora per raccontarne) di sei persone (più una, con noi vive anche una mitica prozia), a dover riorganizzare la mia vita e la mia routine tutte da capo.
I primi giorni non sono stati per niente facili, più volte mi sono chiesta chi me l’avesse fatto fare e perché avessi avuto quell’idea folle. Camminavo per le strade di questa città, che ai miei occhi pareva immensa, senza un minimo di senso dell’orientamento, senza piani, senza saper parlare davvero bene l’inglese, senza conoscere niente e nessuno. Mi sono ritrovata ad essere la babysitter di tre bimbi di 4, 8 e 11 anni, a dovergli cucinare la cena e raccontagli le storie della buonanotte, asciugargli le lacrime e soffiargli il naso, a dover trovare le parole e le canzoni giuste per farli star bene, a gestire la casa e a entrare a far parte di un’organizzazione famigliare (non so nemmeno se si può chiamare “organizzazione”…) totalmente diversa da quella a cui ero abituata. Allo stesso tempo dovevo costruirmi una vita anche al di fuori della mia host family, ma non era facile, non avevo idea da che parte si cominciasse. Poi ho realizzato che stava solo a me agire, dato che ero qui da sola. Sì, potevo contare sul sostegno morale delle mie amicizie o dei miei famigliari in lontananza, ma qui dovevo affrontare io tutte quelle situazioni nuove e scomode che avrei evitato volentieri. Dovevo farlo per forza, per vivere. Allora mi sono buttata e mi sono iscritta a una scuola di inglese, a una scuola di canto, in palestra. Mi sono ritrovata a vivere situazioni bizzarre, belle, a fare balli di gruppo con gli anziani della zona, ho conosciuto persone, visitato luoghi, soprattutto ho scoperto nuovi aspetti di me che non conoscevo per niente. Spesso, in questo tempo così particolare e prezioso, mi rendo conto di quante situazioni che fino a tre mesi fa pensavo impossibili da superare io sia riuscita ad affrontare. E ad essere sincera, molte volte è risultato più semplice del previsto.
Metterci in situazioni scomode ci chiede di fare sforzi che per la nostra pigra natura eviteremmo volentieri, ma che sono necessari per crescere. Anche perché, una volta superati gli ostacoli, ci si rende conto di quanto questi spesso siano più grandi nella nostra testa, piuttosto che nella realtà. E soprattutto, è solo mettendoci in situazioni del tutto estranee alla nostra persona, che scopriamo lati di noi di cui non eravamo a conoscenza. Quella che fino a poco fa mi sembrava un’avventura molto più grande di me, ora è assolutamente a mia misura. La vita qui è diventata la mia quotidianità. E questa esperienza non solo mi sta facendo crescere facendomi conoscere meglio me stessa, ma mi sta permettendo di conoscere bellissime persone che, un po’ come me, hanno deciso di partire per migliorare la propria vita e per riscoprirsi. Pochi giorni fa ero a pranzo con delle ragazze che ho conosciuto qui: una proveniente dalla Francia, una dal Giappone, una dalla Mongolia e una dal Brasile. Eravamo intorno allo stesso tavolo e parlavamo con disinvoltura della nostre vite, condividevamo i nostri pensieri quotidiani e le difficoltà che la vita qui comporta… eravamo così simili, era così bello sentirsi così vicine. Se non avessi deciso di partire, se non avessi scelto di affrontare le mie paure e i miei timori, mai sarei entrata in contatto con queste vite e non avrei sperimentato la bellezza del sentirsi simili nonostante la diversità.
Se posso darvi un consiglio, fate tutto ciò di cui avete paura. Fatelo proprio perché non vorreste mai farlo, non fidatevi di quella paura che vi incatena ai soliti posti, alle solite idee, alle solite persone. Vedrete che una volta superato l’ostacolo iniziale vi ritroverete felici e più forti, scoprirete parti di voi che nemmeno immaginavate di avere. Soprattutto rimarrete sorpresi dalla vita. La vita non si stanca mai di sorprenderci, ma dobbiamo essere noi a metterci nelle condizioni di lasciarglielo fare, non possiamo vivere passivamente nella paura e nell’incertezza, statici. Fidatevi e buttatevi. Pensateci, in fondo cosa abbiamo da perdere? Forse poco o niente, forse a volte manca solo un po’ di coraggio. Ma penso che sia proprio dietro a quel pizzico di coraggio che la vita a volte ci richiede, che si cela quella forza che vorremmo avere.
Marta Fumagalli