“dove uno soffre, lì tiene anche la mano” (plutarco)

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26 aprile 2020

Il 16 Aprile si è svolta la giornata mondiale contro la schiavitù infantile, istituita nel 1995 dopo la morte di Iqbal Masih, un bambino pakistano di dodici anni, operaio tessile. I temi discussi sono stati ovviamente lo sfruttamento minorile attraverso l’utilizzo di manodopera infantile e l’abuso fisico-psichico sui bambini.

La prima immagine che viene in mente quando si pensa allo sfruttamento di minori è quella di un bambino di un paese del terzo mondo, operaio in fabbrica, emaciato, con i calli alle mani e gli occhi vuoti, ma in realtà le forme di abuso e violenza sono molteplici e si verificano più frequentemente di quanto pensiamo, anche in contesti a noi vicini. Tra le varie forme di violenza sui minori, in preoccupante crescita è il fenomeno della violenza sessuale.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni sono stati vittime di episodi di violenza e sfruttamento sessuale (dato relativo al 2002).
Negli Stati Uniti oltre 700.000 bambini ogni anno sono vittime di violenze e maltrattamenti, e, secondo l’International Center For Missing and Exploited Children, 1 bambino su 10 subisce abusi sessuali.
Le richieste di aiuto per abusi sessuali segnalati al Telefono Azzurro e al 114 Emergenza Infanzia, coinvolgono per lo più vittime di sesso femminile (oltre il 65%), e di età inferiore agli 11 anni (oltre il 40% per entrambi i servizi). In entrambe le linee si evidenzia che le vittime al di sotto degli 11 anni sono per lo più maschi, mentre è decisamente in crescita il numero delle preadolescenti.
Il presunto responsabile della situazione di disagio di cui soffre il bambino è nella stragrande maggioranza dei casi un genitore (la madre nel 44,2% e il padre nel 29,5%), quindi un parente nel 3,3%, un amico nel 3,2%, un conoscente nel 3%, un insegnante nel 2,5%. I dati mettono in luce come il responsabile sia un estraneo adulto soltanto in una piccola percentuale dei casi (2,2%).

C’è da chiedersi quali effetti abbiano queste esperienze traumatiche. Nel corso della sua vita la vittima è spesso riportata al momento dell’aggressione, che sia verbale o fisica, e rivive nuovamente gli attimi di terrore con rinnovato disgusto e vergogna. Il risultato è lo sviluppo di una serie di sintomi post-traumatici che possono includere l’evoluzione di una serie di malattie psichiche quali depressione, ansia, disturbi ossessivi-compulsivi, e molti altri.

Un altro importante aspetto da considerare è il legame tra traumi infantili e ripercussione sull’individuo in età adulta. Molti, infatti, sviluppano comportamenti violenti nei confronti della prole o dei bambini in generale, come frutto di una loro stessa lesione mentale causata da problematiche vissute in contesti analoghi.

I primi anni di vita sono i più cruciali, in quanto creano le basi per costruire rapporti sociali, secondo gli esempi e le esperienze acquisite. Perciò, un minore abusato impara a percepire come ordinario qualcosa che è in realtà nefasto al suo benessere e prende a modello la figura del suo aggressore. Il processo d’interiorizzazione è quello che osserviamo spesso negli animali che vengono maltrattati: una volta cresciuti è molto difficile modificarne il comportamento che spesso risulta aggressivo, proprio come riflesso di autodifesa.

Lo sviluppo della condotta dipende da una serie di fattori, come l’età a cui avviene l’abuso, il lasso di tempo per il quale avviene, il tipo di abuso, la natura della relazione con l’aggressore e ovviamente la percezione del soggetto concernente alla violenza. Infatti, ogni bambino è a sé e lo stesso tipo di trattamento può avere risultati drasticamente diversi: se è vero che un bambino può uscire relativamente illeso da episodi di soprusi, altri assorbono profondamente l’esperienza, il che concorre a modellare negativamente il loro carattere.

C’è una sorprendente relazione tra criminalità in età adolescenziale e adulta e una precedente esperienza di abuso in età infantile. Quasi tutti gli assassini seriali, stupratori e molestatori testimoniano d’aver vissuto un’infanzia travagliata, segnata da episodi di violenza verbale e fisica.

Come si può prevenire o limitare questo fenomeno?

Innanzitutto, promuovere programmi a scuola: insegnare a bambini, genitori e insegnanti strategie di prevenzione per mantenere i bambini al sicuro.

Poi, monitorare l’utilizzo di televisione, video e Internet da parte dei minori. Guardare eccessivamente film violenti, programmi TV e video può danneggiare bambini e ragazzi.

Molto importante può essere il proprio impegno di volontariato in un programma locale di prevenzione degli abusi sui minori.

Infine, segnalare un sospetto abuso o negligenza. Se si ha motivo di credere che un bambino sia stato o possa essere trascurato o maltrattato, chiamare il dipartimento locale per i servizi per i bambini e la famiglia o il dipartimento di polizia locale.

Eleonora Marsiletti