“Non è sufficiente darci un’istruzione, Mrs Walters. Ci dovete dire perché lo fate.”
Ricordo di aver sentito questa frase mesi fa, quando per caso guardavo alcune scene di un film alla televisione: An education, un film del 2009. Quelle parole erano lo specchio perfetto di quello che pensavo da tanto tempo e che mi metteva rabbia, di ciò che da troppo tempo non sopportavo. Tante volte, infatti, mi sono chiesta che cosa non funzionasse nella scuola, senza trovare una risposta definita. Il cuore sta tutto dentro a questa frase, dietro ad un perché. Non è abbastanza che ci diate un’istruzione. Dovete dirci, voi docenti, perché lo fate.
Noi ragazzi non siamo così grandi come vogliamo far credere. Né così forti, così risoluti e pronti ad affrontare la vita in tutta la sua pienezza. Siamo adolescenti che cercano di affrontare (come possono) alcuni degli anni più critici e delicati dell’esistenza. Siamo persone estremamente fragili con interi universi dentro, siamo fatti di passioni, di idee, di sogni, di delusioni, di ferite e di domande. Non sappiamo ancora chi siamo, né dove stiamo andando, non siamo in grado di controllare o di mettere le giuste distanze tra noi e le nostre emozioni. Viviamo in una costante tensione tra il dover apparire e lo scegliere di essere, ogni giorno lottiamo contro noi stessi, non sappiamo darci un nome, spesso non sappiamo amarci, non ci conosciamo per davvero, non abbiamo idea di che cosa voglia dire vivere.
Dietro a questi banchi consumati, seduti scomposti e vagabondi in una terra di dubbi, ci siamo proprio noi: ragazzi che vogliono sentirsi vivi. Siamo assetati di risposte e abbiamo bisogno che qualcuno risvegli in noi le domande giuste. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia da guida, che sia una luce in mezzo al caotico buio di questi anni. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia un senso.
La scuola ha in sé uno straordinario potenziale. È il luogo dove è concentrata tutta la storia dell’umanità di tutti i secoli passati. Studiamo le scienze che ci pongono di fronte alla perfezione dell’universo, leggiamo poesie di Leopardi senza accorgerci spesso della straordinarietà del suo pensiero, così fragile e spaventosamente umano. Leopardi è vivo in tutte le nostre ferite, le sue parole contengono tutto ciò che di profondamente umano esiste. È un uomo che nonostante avesse la vita contro, scrisse della forza della ginestra. Tutti i giorni ci parlano artisti morti secoli fa attraverso le loro opere ancora vive, e ci chiamano in causa molto direttamente. Ci parlano di noi, dell’emozione che si può provare di fronte ad un’alba, ad un oceano, all’orizzonte, di fronte alla morte o all’amore. Shakespeare ci chiede se pensiamo che vivere sia una scelta o un dovere, se vale la pena lottare o se ha più senso arrendersi. Pirandello già vedeva che siamo tutti fatti di maschere e abbiamo bisogno di levarcele per poter essere liberi. Viviamo la stessa solitudine umana che traspare dai dipinti di Hopper, il dissidio interiore di Petrarca, ci poniamo domande sul nostro vivere come hanno fatto i più alti filosofi, da Platone a Schelling. Ma allora come fa la scuola a non mostrare realmente tutta questa meraviglia?
Accade perché si perde il senso. Succede nel momento in cui chi ci insegna queste cose non si fa portatore di bellezza, non ce le insegna con l’ottica di restituirci parte della vita del mondo, ma lo fa perché deve. Deve, e probabilmente non sa nemmeno il perché.
Mi hanno sempre detto che la scuola mi avrebbe consegnato le chiavi per la libertà, io invece negli anni ho sentito solo che mi toglieva lentamente tutti i mezzi che avevo per sentirmi libera. Ho assistito e vissuto in prima persona situazioni che mi hanno fatto capire che lì la scuola stava fallendo miseramente nel suo intento, perché stava solo uccidendo. Ho visto molte volte morire la bellezza di cui parlo, e muore ancora ogni giorno, costantemente. Muore in tutti gli attacchi d’ansia, nelle lacrime, nella nauseacausati dalla scuola. Muore ogni volta che ad un ragazzo o una ragazza manca il respiro nel tragitto che fa una volta uscito di casae negli ansiolitici che prende per mantenere la calma. Muore quando noi studenti veniamo riconosciuti solo per quello che facciamo e non per chi siamo, quando fa perdere la voglia di vivere le giornate e di alzarsi dal letto la mattina. Muore nelle lezioni sterili, vuote e noiose, nelle ore perse a provare ad ascoltare parole in cui troppe volte non crede nemmeno chi le pronuncia. Nello studio freddo e mnemonico che non porta a niente se non all’esaurimento, nelle pareti grigie che agli occhi di noi studenti sembrano quelle di una prigione. Muore ogni volta che fa sentire sbagliati e mai abbastanza, ogni volta che una passione viene messa in disparte da un ragazzo perché non riesce più a dargli spazio.
Quante volte ho provato un fortissimo senso di rabbia mentre ero seduta in classe. Cercavo una meraviglia che non c’era. Avevo bisogno di vita, e lì non la trovavo. Mi sembrava di stare perdendo tantissimo tempo prezioso, mi sentivo incatenata a quella sedia fredda e dura, il sangue mi ribolliva nelle vene, mi veniva il mal di testa, volevo solo andarmene. Non trovavo nessun senso nello stare lì e quindi non sopportavo questo obbligo.
Mi chiedevo perché dovessi fare tutto quello sforzo che mi faceva soffrire tanto. Perché dovessi studiare ore e ore nozioni che sembravano inutili, buttate lì a caso giusto per poter dire di averle fatte a programma. Perché sacrificare una parte di me per la scuola, quando non trovavo un senso a tutto questo, e nessuno mi aiutava a farlo.
Perché noi studenti dovremmo credere nello studio, se chi ci racconta queste cose lo fa senza trasmetterci la bellezza che celano? Perché dovremmo spendere così tanto tempo, energie e fatiche sui libri, se non abbiamo una prospettiva di senso? Perché? Se noi ragazzi non abbiamo di fronte persone che ci credono profondamente, come possiamo farlo noi stessi? Perché dovremmo dedicare anni e anni della nostra esistenza a qualcosa che sembra essere morto e pesante?
Comunque, ho avuto insegnanti (davvero pochi, ma almeno ho avuto la fortuna di incontrarne) che vivono la scuola nel suo senso profondo, che amano quello che insegnano e che non vivono in funzione dei voti e delle medie, che sono consapevoli di chi hanno di fronte e hanno come scopo quello di far crescere noi ragazzicome persone. Nelle loro ore di lezione tutto ha un sapore diverso, stravolgono qualsiasi prospettiva: spesso mi ritrovo a sorridere perché sento quella bellezza intrufolarsi in me e illuminarmi conqualche lucina qua e là. Credere in un qualcosa di grande e trasmetterlo a chi non lo sa vedere: è questo che fa la differenza.
La scuola ha tanta meraviglia in potenza, ed è davvero triste quando diventa solo veleno.
Ridiamole la dignità che si merita, ricordandoci ogni giorno quel perché capace di restituirci un senso.
Marta Fumagalli
