Cosa hanno in comune Andy Warhol e un cavernicolo?
Sicuramente non il loro abbigliamento, né le loro usanze alimentari, né tantomeno il patrimonio posseduto. Esiste, però, qualcosa che accomuna queste due figure, qualcosa che le rende simili nella loro estrema diversità. E questo “qualcosa” è la loro “umanità”.
Sin dalla notte dei tempi, nel lontano paleolitico, nell’esatto istante in cui il nostro cavernicolo ha inciso nella pietra la sua visione di quel mondo ignoto che lo circondava, si è concretizzata l’umanità dell’uomo.
Perché l’arte, da quella più antica a quella dei nostri giorni, non si è mai arrestata nel tempo e, cavalcando ere, secoli e decenni, si è trasformata e si è lasciata plasmare dalla mente creativa e curiosa dell’uomo, nella ricerca, ora dell’equilibrio, ora del tormento e del pathos.
L’arte, intesa nelle sue tre forme più eminenti quali pittura, scultura e architettura, non può essere certamente comparata: non si può paragonare la magnificenza di un tempio greco alla perfezione della Monnalisa. Ciò che può essere analizzato simmetricamente è la percezione della realtà che traspare dai diversi stili che si susseguono nel tempo, soprattutto in ambito pittorico.
Il nostro amico cavernicolo, per esempio, ha una visione mistica della realtà e le sue opere sono rappresentazioni molto grandi di animali anatomicamente verosimili e naturalistici. L’arte rupestre assume un valore propiziatorio, come se il cavernicolo voglia catturare l’anima dell’animale prima ancora di averlo cacciato, ed educativo, perché i piccoli uomini apprendano in fretta come procurarsi da vivere.
Immaginando di poter giocare sulla linea del tempo, se facessimo un lunghissimo balzo nell’Antico Egitto, scopriremmo come la pittura sia diventata sempre meno naturalistica e più concettuale. È qui che nasce l’idea di dimensione gerarchica, ovvero l’usanza di dipingere i personaggi più importanti della piramide sociale più grandi rispetto agli altri membri del palazzo. È bene ricordare, però, che l’età del Regno Egizio interessa più di 3000 anni di storia ed è quindi ovvio che si siano verificati alcuni mutamenti artistici, come il tentativo di Ekhnaton di introdurre un’arte più realistica. Nonostante ciò, possiamo riassumere l’ampio periodo egizio con tre grandi concetti: assenza di volume, metodo planimetrico (rappresentazione di profilo) e campiture piatte.
Facendo un altro salto nel tempo, non si può non soffermarsi sulla meravigliosa Grecia, culla di ideali innovativi ed eterni tanto quanto le loro opere d’arte. Ci sarebbe troppo da raccontare su questo popolo, dal periodo arcaico degli ordini dorico, ionico e corinzio, all’ellenismo del Laocoonte, passando per l’arte classica del Discobolo e del Partenone. Ma noi ci siamo prefissati di analizzare la visione della realtà nella pittura e così, purtroppo o per fortuna, abbiamo ben poco da dire: nonostante la magnificenza dei dipinti greci, ben poco è sopravvissuto all’oblio del tempo e non ci rimane che analizzare ciò che perviene dai vasi, che, sin da quelli geometrici, sono manifestazione della nuova arte greca. In questi sono riconoscibili alcune di quelle caratteristiche che si sono tramandate nei secoli e che hanno affascinato artisti e condizionato interi periodi storici, come l’interesse per l’equilibrio compositivo, la simmetria e l’armonia.
In primo luogo, l’influenza greca è sicuramente tangibile nella pittura romana, caratterizzata dagli affreschi che si snodano in quattro differenti stili: ad incrostazione, architettonico, decorativo e fantastico. La visione della realtà sfuma da una sensazione di sgomento e compartecipazione ad una prospettiva infinita e complessa.
Se immaginassimo ora la nostra linea del tempo, vedremmo come, dopo la nascita e la diffusione del cristianesimo, l’arte si faccia carico di insegnare ai fedeli i momenti fondamentali della Bibbia, riprendendo anche motivi pagani letti in chiave cristologica.
A partire dai mosaici romani, passando attraverso lo stile romanico, fino al gotico, la pittura si colora di un forte simbolismo: le figure divengono frontali, viene meno il volume, la tridimensionalità e, nel suo insieme, l’intero naturalismo.
La realtà rappresentata non è quella del mondo che circonda l’uomo, ma quella che sussiste nella sua interiorità, condizionata dalla religione.
È poi con Giotto, che si avvia verso il tardo gotico, che rinasce l’interesse verso il naturalismo, con quello stile innovativo e rivoluzionario che si rifà sempre più all’arte classica.
Questa stessa arte classica susciterà fermento e ammirazione durante tutto il Rinascimento, sulla scia di nomi illustri quali Donatello, Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Questa stagione artistica si caratterizza per la naturalezza delle raffigurazioni, priva delle deformazioni e delle simbologie che avevano caratterizzato gli stili precedenti.
L’adesione alle regole artistiche classiche, l’equilibrio e l’armonia diventano i principi cardine anche del neoclassicismo che, dopo la sregolatezza e l’eccessiva fantasia del Barocco, tornano a caratterizzare l’arte, che ambisce al bello ideale e al razionalismo. La realtà è, quindi, quella mostrata dai lumi della ragione, dagli schemi ferrei e precisi dell’Illuminismo. L’ascesa di Napoleone segna l’apice e la massima esplosione di questa corrente, che, come ogni stagione artistica, si avvia poi verso un lento declino.
Per contrapposizione va quindi affermandosi il Romanticismo, che si articola sulle direttrici del pathos e dell’irrazionalità. La realtà più autentica sfugge alla ragione e si rifà allo slancio ebbro del sentimento privo di freni, al sogno, al delirio e all’esperienza solenne, terribile ma anche morbosamente affasciante, della morte. Questo perché per il romantico la realtà vera non è quella sensibile, ma il mistero che si cela al di là delle cose, nelle profondità oscure dell’anima.
A partire poi dalla seconda metà dell’800 la nostra immaginaria linea del tempo è costellata di stili e correnti artistiche che si influenzano l’un l’altra: dalla rappresentazione oggettiva, fedele e imparziale della realtà proposta dal Realismo, nasce, ad esempio, l’Impressionismo, con il trionfo del colore e della visione soggettiva.
E giungiamo così agli inizi del XX secolo, con l’affermarsi di stili artistici che mirano ad una deformazione della realtà: nascono le avanguardie storiche, con l’Espressionismo, il Cubismo, il Surrealismo e il Dadaismo.
Ognuna di esse interpreta il mondo che la circonda con una visione differente, ma condividono la rappresentazione problematica e parodistico-grottesca della realtà. Le opere di questi artisti sono definite dal pubblico del tempo “oscure” e di “difficile comprensione” proprio perché richiedono un atteggiamento di attenzione particolare e di immedesimazione nel fruitore.
E arriviamo, così, al nostro Andy Warhol, massimo esponente della Pop Art, che vede la realtà non più filtrata attraverso l’analisi introspettiva, ma attraverso la società consumistica degli anni Cinquanta, che diviene la cornice e il fulcro per tutti gli artisti.
Ed è proprio con questo genio contemporaneo che volevo concludere la nostra passeggiata sulla linea del tempo, senza toccare l’arte che caratterizza i nostri giorni. Questo perché sarebbe troppo difficile comprendere come noi vediamo la realtà nel suo insieme, essendo ancora troppo vicini e troppo immersi nel nostro secolo per essere critici ed oggettivi. Quello che sicuramente è utile ricordare, volgendo con gratitudine uno sguardo al passato, è che l’arte non è mai brutta o decaduta, ma il braccio dell’umanità dell’uomo, che va compreso e ammirato con meraviglia.
L’Astrologo Caldeo