Mi é successo più volte di sentir dire “ceniamo al tramonto” oppure “una cena con il tramonto”.
Credo che se fossi una persona razionale mi sarei limitato a sorridere per la romantica idea di mangiare alla luce del sole morente, oppure avrei arricciato il naso e l’avrei giudicata “old-fashioned”, non senza una punta di invidia.
Invece io sono strano, mi piace giocare con le parole, arricciarle su loro stesse, cambiare il loro significato, renderle a-e-r-o-p-l- ani su cui volare verso mondi talvolta inesplorati (si, aeropl è uno pseudoanagramma di parole. L’ho detto, sono strano).
Quindi, da buongustaio e words-player quale sono, mi sono chiesto cosa volesse dire poter veramente mangiare un tramonto. Ebbene si, mi sono domandato sul serio come potesse essere il cielo al giudizio del palato, e quindi mi sono immaginato di affettarlo con un coltello e addentarlo con foga.
Dopo una lunga e attenta analisi posso avanzare la supposizione che avrebbe la stessa consistenza del gelato con la panna, così dolce e cremoso… anzi no, sarebbe come una fetta di pizza, croccante per la pasta ma morbido per via del formaggio filante.
Beh sicuramente sarebbe caldo, come una torta appena sfornata oppure… gelido come un semifreddo.
E se poi fosse un tramonto sul mare… beh avrebbe un ricco ripieno al suo interno, quindi sarebbe una sorta di arancino, anzi no, forse è troppo ripieno… direi più un cuor di mozzarella.
Sicuramente sarebbe ben diverso da un tramonto sul lago, che invece avrebbe il gusto di un hamburger, chiuso alle spalle dalle due fette di montagne e con una salsa ai mulinelli.
Però forse è troppo fat food… quindi direi che sarebbe più un sandwich di agoni e paesini arroccati.
Ho anche immaginato, però, che anche il tramonto sulle montagne avrebbe un sapore decisamente diverso, quindi ho optato per un cibo croccante a cui non riesci a resistere: un sacchetto di patatine fritte da duecento calorie ciascuna. No, forse è troppo eccessivo, meglio ridimensionarlo ad un piatto di patate al forno fatte in casa.
Diversissimo, quindi, da un confusionario tramonto cittadino, simile ad una pastasciutta un po’ scotta condita con sugo e smog.
A volte anche più smog che sugo. Dipende dai gusti.
E se il tramonto fosse al polo nord? Beh, considerando la moda locale che si assesta su “o muori congelato oppure diventi una foca” e la rarità dei tramonti direi che avrebbe il sapore di un cibo che è meglio mangiare raramente, onde evitare la morte per overdose: la Nutella.
Ben diverso, invece, sarebbe mangiare un tramonto delle Svalbard: con il sole che non tramonta per tutta notte é come mangiare una torta nuziale in due!
Beh, forse un po’ eccessivo… direi più mangiare una vaschetta di gelato per otto persone da soli (no, non l’ho mai fatto tranquilli… più o meno…).
E se il tramonto fosse sulle nostre colline lombarde? Beh allora senza dubbio saprebbe di torta paesana, con i pinoli duri come i calli dei lavoratori e il cioccolato che ricorda la gioia dei giorni in cui non si lavora.
E se invece fosse un tramonto estivo? Sarebbe diverso da uno invernale. Così come il cielo di Tokyo non è lo stesso di Berlino… il mar Tirreno non è lo Ionio, il Resegone non è la Grigna (sempre che tutti li sappiano distinguere). Insomma, ogni parte del mondo è diversa anche dal suo angolo più vicino.
Quindi è per questo che non possiamo mangiare i tramonti: saprebbero di troppi gusti insieme e sarebbero più destabilizzanti della cucina molecolare.
Rimane comunque un peccato non poter assaggiare un piatto al “sole morente” e credo che questa mancanza mi accompagnerà per tutta la vita.
Nel frattempo non mi resta che evitare di chiedere alla mia ragazza di andare a fare “una cena al tramonto”… sia mai anche lei si aspetti una fetta di cielo da 200 euro!
Grisi Luca