Selling England by the Pound, il capolavoro dei Genesis, si apre con questo enfatico lamento, tanto triste quanto dolce, e la nostra mente viene immediatamente proiettata in un mondo fiabesco, un mondo di regine e cavalieri, popolato da creature fantastiche e mitici fannulloni.
Dancing with the Moonlit Knight propone all’ascoltatore un’intricata composizione dal sapore quasi medievaleggiante, ed introduce egregiamente il tema dell’album: la progressiva perdita del folklore inglese, soppiantato dallo stile di vita americano. Come nella migliore tradizione dei primi anni dei Genesis, i testi dei brani sono pieni e significativi, colmi di ispirazione e giochi di parole, e le parti strumentali sono caratterizzate da una raffinatezza e delicatezza esecutiva che rendono il disco un vero e proprio gioiello artistico. La prima traccia riassume appieno lo stile del gruppo: intricati stacchi e riprese si affiancano ad orecchiabili versi.
Nel secondo brano dell’album, I know what I like i Genesis propongono all’ascoltatore delle strofe semplici e di facile assimilazione, ed un ritornello orecchiabile. La breve traccia parla di un giardiniere che, soddisfatto del proprio lavoro, si assopisce su una panchina sotto al sole. Ma la quiete dura poco: egli infatti viene continuamente disturbato da delle figure che lo incitano a trovarsi un lavoro “dignitoso” e sicuramente più redditizio. Ma egli è felice nella propria condizione, ed il suo piacere catastematico non viene turbato dai continui rimproveri, ed il povero giardiniere Jacob rimane soddisfatto della propria frugalitas.
L’ascoltatore medio viene però messo alla prova con il prossimo pezzo, ovvero Firth of Fifth. Questo brano, che inizia con un’introduzione sublime di pianoforte, dura quasi dieci minuti, e narra, con arzigogolati versi, assoli magnifici e elaboratissime parti strumentali, dell’eterno scorrere delle acque di un fiume (il fiume Forth, in Scozia, con il cui nome il gruppo gioca nel titolo del brano) come metafora dell’inafferrabilità dell’esistenza: “Il fiume del costante mutamento erode le sabbie del tempo”. Questa canzone non è però un memento mori, ma, almeno nella mia visione, un inno alla vita, celebrata con l’esaltazione della natura ed il rispetto dei ritmi umani. Sono di questo avviso riguardo al significato del brano –molto criptico ancora oggi- in quanto le sonorità sono vive e i temi ameni e preziosi, ed infine poiché la filosofia dell’album è edonistica ma ascetica al tempo stesso: sono in essa rintracciabili ispirazioni colte, quasi epicuree.
Subito dopo l’idillio della magnifica Firth of Fifth, che ci trasporta in luoghi dalle acque cristalline, dove le sirene scherzano con le onde, e dove i fiumi si dissolvono nell’oceano, ecco un brano inaspettato, quasi giocoso. More Fool Me è una piacevole canzone d’amore, cantata interamente dal batterista –poi pop star affermata- Phil Collins. La semplicità e la graziosità della melodia rendono la traccia facile all’ascolto ed orecchiabile.
Se il brano appena trascorso si può dire semplice e dolce, la situazione viene completamente ribaltata con la traccia successiva. The Battle of Epping Forest narra della battaglia tra due bande rivali che si contendono una terra di nessuno, appunto la Foresta di Epping, nell’East London.
I Genesis raccontano il regolamento di conti in modo comico e quasi grottesco, inserendo dettagli fittizi, ed originando una sorta di manoscritto (di ben novecento parole!) piuttosto che una canzone. Lo scontro viene descritto come una radiocronaca, e l’ironia dell’autore è ben evidente in passaggi che riflettono, con una sorta di gusto amaro, sul fatto che queste scorribande sono diventate talmente frequenti nella società dell’epoca che durante la battaglia ci si può fermare per fare merenda […Handing out bread and jam just like any picnic…].
La geniale mente del frontman-compositore Peter Gabriel realizza la storia come una sorta di burlesco cartone animato dalle caratteristiche quasi del cabaret. Uno per volta, i vari personaggi si presentano, e ognuno di essi ha una storia da narrare: c’è chi è appena uscito di prigione e non vede l’ora di spezzare le gambe di chi l’ha incastrato, c’è chi era temuto fin da bambino, ci sono perfino dei preti che non tengono in gran considerazione il celibato e ci sono degli avvocati che tengono il conto dei punti della lotta, distribuendo la merenda e segnando l’inizio della ricreazione.
Alla fine della battaglia, gli avvocati si dovranno accontentare di dichiarare: There’s no one left alive- must be a draw.
Dopo l’intricato intreccio di questo brano, sostenuto da un magistrale tappeto sonoro, ecco arrivare la strumentale After the Ordeal, che incarna il momento di quiete dopo l’ordalia (ovvero una pratica medioevale che prevedeva un duello a singolar tenzone per regolare le dispute). Il brano è quasi folk, e divertente all’ascolto.
Dopo questo breve intermezzo, si palesa un altro capolavoro: The Cinema Show, che, con delle singolari tracce strumentali, utilizza la cornice del rendez-vous tra una moderna Giulietta ed un moderno Romeo per narrare la storia dell’indovino Tiresia. Egli fu, secondo la mitologia greca, un indovino che fu chiamato a risolvere una discussione tra Zeus ed Era. Essi dibattevano su chi provasse maggior piacere durante l’atto sessuale, e il re degli dei affermava che chi lo provasse fosse la donna, mentre Era l’uomo. Tiresia era stato chiamato in quanto egli era, sempre secondo i miti antichi, l’unico uomo al mondo che fosse mai stato sia maschio che femmina. Tiresia asserì che chi provava maggior piacere fosse la donna, ed Era, infuriata con l’uomo, lo rese cieco. Zeus, per ringraziarlo dell’aiuto, gli conferì poi capacità divinatorie. L’ispirazione a storie di questo tipo è di una sensibilità sconcertante, considerato che all’epoca gli artisti del gruppo avevano più o meno vent’anni.
La storia è inframmezzata da ricche e affascinanti parti strumentali, che ornano il cantato soave di Gabriel alla perfezione, con una delicatezza fuori dal comune.
L’ultima traccia, Aisle O’ Plenty, molto breve, riprende il tema musicale del primo brano dell’album, e chiude perfettamente il disco, in modo coerente all’idea di continua ciclicità ben espressa in Firth of Fifth: l’opera dei Genesis è quindi una magnifica ringkomposition, che tratta di temi elevati e filosofici, basandosi su una musica colta e finemente eseguita.

Pietro Locci